Con grande interesse ho partecipato al workshop "La ricerca microbiologica per i vini del futuro", voluto dall'Istituto Regionale Vite e Vino di Sicilia, presso il Castello Utveggio di Palermo, prestigiosa sede del Cerisdi, risultato di quel protocollo di collaborazione tra i due enti siglato solo pochi mesi fa. Durante il tardo pomeriggio del 4 Febbraio 2011, il workshop è stato illustrato ad operatori del settore ed alla stampa; congiuntamente è stato presentato anche il libro "La microbiologia in cantina: un manuale per i controlli microbiologici", curato da Daniele Oliva, Responsabile dell'U.O. di Biotecnologie applicate dell' IRVV, coadiuvato da S. Di Maio e G. Polizzotto. Il manuale è stato scritto in modo molto chiaro e vuole essere un riferimento sia per gli studenti che per gli addetti ai lavori. La genesi di quest'ultimo è da individuare in una serie di appunti dell'Istituto che sono stati finalmente ordinati e tradotti nel pratico manuale. Giusto per iniziare ad entrare in tema, si potrebbe metaforizzare la fermentazione alcolica, considerando gli appunti (lo zucchero) demoliti dai lieviti (l'IRVV), che hanno prodotto il manuale in questione (l'etanolo) e il workshop (l'anidride carbonica).
C'è da precisare però che le mie conoscenze di chimica e biologia cellulare risalgono a circa 30 anni fa e ho dovuto sollevare molta polvere per tornare ad essere in grado di capire gli argomenti trattati dai relatori. Fortunatamente le mie conoscenze in materia, anche se scolastiche, derivano da una passione per cui, appena risalito in sella, sono caduto un paio di volte ma poi ho finalmente preso velocità.
Il workshop si è svolto senza intoppi, all'indomani della sua presentazione ufficiale, durante tutta la giornata del 5 Febbraio, ed è stato caratterizzato dalla grande professionalità dei relatori, italiani ed esteri.
La prima sessione, moderata da Giancarlo Moschetti, dell'Università degli Studi di Palermo, è iniziata con il contributo di Patrizia Romano, del Dipartimento di Biologia, Difesa e Biotecnologie Agro-Forestali della Basilicata. L'argomento affrontato riguardava l'importanza del carattere "dominanza dello starter" come parametro di selezione del Saccharomyces cerevisiae di Nero d'Avola. Il team della Dott.ssa Romano aveva selezionato un ceppo della famiglia di lieviti in questione, sia dal Nero d'Avola che dall'Inzolia, eseguendo numerosi test al fine di ottenere uno starter dominante con caratteristiche utili alla fermentazione. Durante la selezione si è cercato di accentuare la componente aromatica del vino e la salubrità, costituita da un basso contenuto di urea e massimo di polifenoli. La formazione di urea è particolarmente pericolosa in quanto, legandosi con l'etanolo, forma il carbammato di etile, sostanza cancerogena accertata. Infine, dalla ricerca condotta, è emerso un interessante risultato: un lievito autoctono selezionato, impiegato in una fermentazione di uve in zone diverse da quelle autoctone, non riesce mai a dominare.
Poi è stata la volta di Amparo Querol, del Dipartimento di Bioteconologia dell'Istituto di Agro-Chimica e Tecnologia di Valencia in Spagna, che ha presentato uno studio sul ruolo dei ceppi ibridi di Saccharomyces durante i processi di fermentazione. Con quest'intervento si è scesi un pò più intimamente nella biologia cellulare in quanto, l'ibridazione, si realizza selezionando i cromosomi dei lieviti al fine di migliorare i processi fermentativi producendo meno etanolo, più glicerolo e abbassando la temperatura a cui avviene la fermentazione stessa, preservando così i composti aromatici del vino. Ma come avviene l'ibridazione ? C'è da specificare che i lieviti sono cellule diploidi, cioè con un DNA composto da cromosomi a coppie, queste cellule, se sottoposte a stress ambientale o nutrizionale, tendono a trasformarsi in cellule aploidi, dove il patrimonio genetico è composto da cromosomi singoli. Unendo aploidi provenienti da differenti selezioni, si possono ottenere di nuovo cellule diploidi ma con caratteristiche differenti. Tale tecnica, secondo me ai limiti dell' OGM, crea i cosiddetti ibridi.
Ancora una relatrice straniera, Sylvie Dequin dell'Istituto Nazionale di Ricerca Agronomica di Montpellier in Francia, ha illustrato le opportunità offerte dalla genomica per lo sviluppo di nuovi ceppi di lievito. Questa ricerca è andata ancora più all'interno dei nostri piccoli microorganismi sequenziandone il DNA. Sequenziare il DNA vuol dire mettere in fila le basi cromosomiche per poterne leggere ed interpretare le funzioni che svolgono i singoli geni. In tale ricerca, la selezione del Saccharomyces, è stata eseguita conoscendo in anticipo le peculiarità dei singoli geni e abbreviando quindi la serie di test che normalmente bisogna mettere in opera per verificare i risultati di ibridazioni e selezioni tradizionali di ceppi. Anche in questa ricerca lo scopo era quello di tenere basso il contenuto di acido acetico, il carbammato di etile e l'etanolo.
Dopo una breve pausa caffè i lavori son ripresi con la seconda sessione di seminari moderati da Giovanni Antonio Farris, docente all'Università di Sassari; Luca Cocolin, del Dipartimento di valorizzazione e Protezione delle Risorse Agroforestali dell'Università di Torino, ha quindi illustrato le ricerche del suo team relative all'impiego di un altro lievito, la Candida zemplinina, limitata all'uso con mosti ad alto contenuto zuccherino. E' emerso come questo lievito, con caratteristiche simili alla Candida stellata, si comporti meglio di altri durante la fermentazione del mosto con esso inoculato. Infatti, ha una buona resistenza all'etanolo, si comporta bene alle basse temperature, mangia più fruttosio che glucosio e produce poco acido acetico. Tutto ciò fa ritenere ideale l'uso di ceppi selezionati di Candida zemplinina in caso di vini dolci soprattutto, nella fermentazione scalare, coinoculando lieviti indigeni in tempi diversi.
Dopo tanti lieviti da fermentazione una piccola digressione è d'obbligo, infatti l'argomento si è spostato sul "marciume acido". Manuel Malfeito-Ferreira, dellIstituto Superiore di Agronomia di Lisbona in Portogallo, ha indagato a lungo i processi ed i veicoli di tale malattia della vite che colpisce il grappolo. C'è da precisare che per fortuna in Sicilia, essendoci un clima non eccessivamente umido, il marciume acido difficilmente si forma, ma è bene saperlo comunque controllare onde evitare danni alle colture. Ferreira ha illustrato come la responsabilità della diffusione della malattia, oltre che alle condizioni di elevata umidità, presenza di botrytis cinerea e ferite nell'acino, sia principalmente dovuta alla veicolazione effettuata dall'insetto della drosophila, il quale trasporta i lieviti che poi generano la malattia. La pianta, attaccata da tali lieviti, peraltro di numerose famiglie, produce acido fenilacetico, responsabile poi del gusto un pò mieloso di alcuni vini. La soluzione ? Non far avvicinare la drosophila agli acini, la cosa però mi fa pensare alle pesche di Leonforte, famose per il sacchetto che le racchiude fin da piccole ancora attaccate all'albero. Vedremo forse i grappoli pendenti dalle viti tutti insacchettati ?
Agostino Cavazza, dell'Istituto Agrario di San Michele all'Adige di Trento, ha riportato il focus del workshop sulle fermentazioni, affrontando la possibilità di controllo e gestione dei caratteri enologici di lieviti e batteri lattici. Fino a quando i lieviti autoctoni non saranno disponibili per tutti dovremo continuare ad utilizzare i circa 200 ceppi commerciali, ciò però non ci impedisce di controllare con varie tecniche le due fermentazioni del vino, alcolica e malolattica, cercando di ottimizzarle e soprattutto evitando che esse avvengano contemporaneamente. Una tecnica che evita tale coincidenza di fermentazioni consiste nell'uso di un particolare enzima, denominato lisozima, come agente immobilizzatore dei batteri lattici, responsabili della fermentazione malolattica.
La mattinata è stata chiusa dall'intervento di Dario Cartabellotta, Direttore dell'IRVV, che ha ribadito l'importanza del territorio siciliano, con le sue molteplici diversità, nell'ambito di un mercato che deve assorbire la produzione vinicola dell'isola. Infine, sicuramente tutti molto affamati, i circa 200 partecipanti si sono prodigati a fornire alimentazione e ben altri batteri ed enzimi da tempo in attesa nei propri stomaci !
La terza ed ultima sessione si è aperta con Massimo Vincenzini, del Dipartimento di Biotecnologie Agrarie dell'Università di Firenze, che ha riportato gli ascoltatori a fermentazioni ben più naturali di quelle finora esaminate. Lasciata alle spalle la tecnologica genomica, è quindi giunto il momento di fare un passo tecnologico indietro per poi farne un paio nel futuro. Secondo me è questa la strada da seguire, la strada giusta è quella dei lieviti autoctoni e non delle selezioni esasperate ed ibridazioni facili perchè da ciò agli OGM il passo è breve. Io non sono pregiudizialmente contrario agli OGM, ma ritengo che ove non ci sia una reale necessità di applicare tali tecnologie sarebbe meglio evitarle, salvaguardando così la preziosissima biodiversità di cui gode la Sicilia e l'Italia tutta. Fortunatamente, i Governi che si sono succeduti in Italia negli ultimi anni hanno finora detto no agli OGM; lo stesso IRVV ha investito molte risorse nel campo dei lieviti autoctoni. L'intervento di Vincenzini dimostrava proprio questa tesi, ogni fermentazione naturale, senza l'apporto di lieviti dall'esterno, è unica proprio grazie al territorio che condiziona il numero e le famiglie di lieviti responsabili di essa, conferendo particolari caratteristiche a quel vino. Il vino così prodotto, però, presenta delle peculiarità variabili difficili da controllare ed uniformare, ma è proprio questa la sua forza, la variabilità che oggi spesso viene vista come un difetto deve essere presentata al consumatore come un pregio, cercando di cambiare l'approccio commerciale in un approccio culturale sempre più legato al territorio. Questa è la strada del vino che può fare vincere alla Sicilia molte competizioni se è vero, come è vero, che l'isola ha ben 17 territori vitivinicoli dalle peculiaritò così diverse da spingere l'IRVV a definirli in una vera e propria mappa e a rivoluzionare la disposizione degli stand del Vinitaly 2010, adattandoli ad essa. Le ricerche di Vincenzini hanno dimostrato l'unicità dei risultati nella fermentazioni spontanee, la persistenza dei lieviti in cantina da un'annata all'altra, della molteplicità dei luoghi di provenienza dei lieviti, terreno, uva, acqua di lavaggio dei tini, della loro elevata biodiversità e assortimento mantenendo così vivo il legame tra prodotto vino e territorio.
Ancora un'altra variante nell'inoculazione di lieviti, questa volta con famiglie diverse dal Saccharomyces è stata presentata da Maurizio Ciani, del Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell'Università delle Marche. L'analisi effettuata ha mostrato il ruolo di lieviti diversi dai soliti, utilizzati nella riduzione di etanolo e di acidi volatili, l'incremento di polisaccaridi, esteri e composti non volatili, questi ultimi due responsabili delle caratteristiche aromatiche del vino. Le prerogative positive di queste tecniche di inoculazione sono principalmente da imputarsi, oltre che alla selezioni dei lieviti non-saccharomyces, anche dal lavoro sinergico di questi ultimi, collaborando tra di loro per il risultato finale.
Alla fine della terza sessione Marilena Budroni, del Dipartimento di Scienza Agrarie e Biotecnologie Agroalimentari dell'Università di Sassari, ha parlato dei lieviti flor, molto conosciuti in Spagna, in italiano vuol dire "fiore", grazie al loro impiego nella produzione di Sherry ed Jerez. La Budroni ha condotto le sue ricerche su un vino del proprio territorio, ormai sempre più raro: la Vernaccia DOC di Oristano. L'argomento ha creato le condizioni ideali per poter introdurre il problema della progressiva scomparsa di prodotti ormai poco richiesti dal mercato, permettendo alla Budroni di disquisire abbondantemente sull'argomento. Dopo l'esposizione delle caratteristiche di questi lieviti, appartenenti alla famiglia dei Saccharomyces, sono stati illustrati i meccanismi di aggregazione di tali cellule fino a simulare un vero e proprio "comportamento sociale", il quale favorisce l'assembramento e la formazione di un vero e proprio biofilm protettivo che, una volta affiorato in superficie, crea un tappo impermiabile sopra il vino. La Budroni ha persino indicato il gene, il FLO11, come causa dell''adesione delle cellule grazie alla produzione della proteina denominata "adesina". Interessante l'intervento di Giancarlo Moschetti, alla fine dell' esposizione della Budroni, il quale ha auspicato un Marsala Flor !
In chiusura di giornata sono stati chiamati a illustrare il proprio operato anche alcuni ricercatori siciliani, dimostrando che nell'isola le problematiche della fermentazione del vino sono fonte di ricerca da parte di diversi enti. Ognuno ha mostrato i propri risultati, spesso di notevole importanza microbiologica, iniziando da Cristina Restuccia, della Sezione di Tecnologia e Microbiologia degli Alimenti dell'Università di Catania, il cui intervento ha riguardato la selezione degli starter allo scopo di migliorare le catteristiche dei vini speciali, come il Moscato di Siracusa e la Malvasia. Poi è stata la volta Alessandro Lombardo, del Parco Scientifico e Tecnologico di Sicilia, che insieme al suo gruppo ha isolato circa 1.000 ceppi di lieviti provenienti da cultivar siciliane, costituendo una vera e propria banca dei lieviti, spingendosi fino alla creazione di OGM, non consentiti in Italia, e brevettando dei lieviti per la spumantizzazione. Giancarlo Moschetti, dell'Università degli Studi di Palermo, ha invece mostrato le sue ricerche sull'identificazione dei luoghi di provenienza dei lieviti nelle fermentazioni spontanee costituiti dalle foglie della vite come dalla migrazione degli uccelli. In chiusura, Daniele Oliva, dell'IRVV, ha raccontato come l'Istituto siciliano è arrivato nel 2006 a mettere in commercio un primo lievito autoctono proveniente da Nero d'Avola, denominato NDA21, comunicando anche l'inizio di una sperimentazione, nell'isola di Linosa, dei primi impianti di vite del luogo con lo scopo di verificare il comportamento delle fermentazioni spontanee in un ambiente mai contaminato da batteri del vino, dimenticandosi però della dimostrata influenza da parte degli uccelli migratori da parte della precedente ricerca, Oliva dovrà forse rivedere le sue ricerche, alla luce dei risultati del Moschetti e dei suoi uccelli ?
Inutile disquisire sull'elevata statura dei relatori e sull'importanza delle loro ricerche, ma anche il pubblico in sala era molto ben qualificato. Circa 200 partecipanti hanno seguito il workshop tra i quali ho incontrato: enologi più o meno famosi, molti docenti, fra i quali sicuramente spiccava il Prof. Rocco Di Stefano, e tanti studenti universitari. La cosa che però mi ha colpito di più è stata la massiccia partecipazione della quasi totalità delle enologhe che attualmente operano in Sicilia. Sono addirittura riuscito a fotografare le esponenti dell'enologia rosa, in ordine da sinistra, come compaiono in foto abbiamo: Irene Vaccaro, Maria Carella, Laura Orsi, Lorenza Scianna e Ornella Rizzo. Che sia un segno di come il vino stia cambiando sempre di più colore ?
Articolo pubblicato anche su Newsfood.com
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