Marco e Costanza DurastantiDa un po' di tempo sembra che le tre parole magiche biologico, vegetariano e vegano, riescano ciecamente a nobilitare qualsiasi cosa venga proposta dalla ristorazione al contempo aumentatone il prezzo, ma vediamo se è vero nel caso di quel fenomeno tutto palermitano chiamato Villa Costanza.
Nel caso in questione, più che delle tre parole magiche, c'è un vero e proprio "format", un concept che prevede il controllo di tutta la filiera degli ingredienti con l'ausilio, per gli altri prodotti, di certificazioni ad iosa. Villa Costanza è esattamente la prova reale di ciò che professo da tempo in seminari e convegni e che ho scritto più volte, è assolutamente vero, cioè, che oggi il consumatore medio evoluto cerca alimenti che non solo siano genuini, ma anche salutari, tuttavia non possedendo sempre gli strumenti per valutarli egli si rifugia nelle certificazioni, alle quali personalmente non credo molto, o nella tracciabilità/filiera corta, ma è un dato di fatto che nel mercato dell'agroalimentare esse pagano... e non poco, in termini di margini di guadagno e di vittoria sulla concorrenza, pertanto bisogna seriamente considerarle come imprescindibili dalla qualità.
Accade a Ciaculli: se son broccoli.... fioriranno!Già diversi mesi fa, grazie a diversi fattori, Villa Costanza era entrata nell'orbita di una mia recensione, così lo scorso 15 Gennaio 2018 ho dedicato ad essa un intero pomeriggio con successiva serata per la degustazione, ma la mia prima tappa è stata dritta all'orto biologico che fornisce il ristorante, situato nel quartiere di Ciaculli a Palermo, zona alla periferia della città e che quindi può vantare un'aria pulita, prerequisito indispensabile per delle colture sane. L'orto è nato ed è gestito dalla cooperativa Codifas e prima dell'attuale collocazione si è spostato in diverse zone di Palermo. A Ciaculli sono stato accolto da Valerio Scilluffo un perito elettrotecnico con la passione per la terra che mi ha guidato attraverso l'ettaro coltivato quasi sotto le vicine montagne, spazio in parte riservato all'accordo di filiera stipulato con Villa Costanza e per il resto parcellizzato, al fine di poter essere usufruito da appassionati e amanti della natura, come da antiche abitudini del Codifas. Nell'appezzamento vige il regime biologico non certificato, tuttavia per certi versi esso è anche più restrittivo rispetto alla legge, viene inoltre preferita l'auto produzione di semi, evitati quelli provenienti da ibridazioni e utilizzato un occhio di riguardo per le varietà tradizionali locali.
L'affiatato staff della sala di Villa CostanzaLa storia di Villa Costanza nasce con la famiglia Durastanti, realizzatrice della struttura posta in una invidiabile panoramica posizione, sulla strada che porta sulla sommità di Monte Pellegrino, "il sasso dei palermitani" come lo chiamò Goethe in un suo viaggio in Sicilia, quasi all'altezza del "Coffee house", una sorta di tempietto costruito nell'800 dall'architetto Venanzio Marvuglia. La struttura è sempre stata data in gestione a terzi, ma nel 2000 Costanza Durastanti, ai tempi appena ventenne tuttavia appassionata di cucina, chiese al padre di occuparsi lei stessa della villa, con l'intenzione di aprire un proprio ristorante, che poi in effetti per diversi anni ha offerto una cucina mediterranea senza però le caratteristiche che oggi noi tutti conosciamo. La svolta avvenne circa 10 anni fa, quando Marco, fratello di Costanza, già laureato in Economia e Commercio e appena tornato da fuori Sicilia, espresse le sue idee di ristorazione innovative alla sorella, convincendola ad entrare in questa nuova avventura in un periodo ancora non affermato per quel nuovo tipo di approccio al cibo, ma che ha consentito a Villa Costanza, conducendo piccoli passi, di precorrere i tempi e mettere a punto il concept oggi di successo, ma che tuttavia è in perenne miglioramento.
I pizzaioli: al centro M.Battaglia con V.Arnone e M.BiancoSemplificando al massimo, i punti fermi di Villa Costanza sono fondamentalmente due: la genuinità degli ingredienti, realizzata tramite la tracciabilità effettuata grazie alla conoscenza diretta dei produttori e le eventuali certificazioni, nonchè la cura del cliente. Per attuare ciò, Marco è in continua ricerca di produttori e prodotti rigorosamente siciliani, guarda caso in gran parte da me conosciuti, attuando il Km 0 e quasi sfiorando l'autarchia alimentare, ma anche addestrando il personale alla vendita e alla divulgazione delle caratteristiche degli ingredienti, trasformando così un "normale" ristorante in un modello di quello che la ristorazione dovrebbe sempre essere, nel mondo, in Italia, ma soprattutto in Sicilia, che invece vede troppi gestori appiattiti nell'anonimato dei propri ingredienti, che non forniscono nessun tipo di valore aggiunto alla propria offerta, a volte incuranti della salute dei propri clienti, ostacolando così la divulgazione della nostra cultura e biodiversità enogastronomica, importante voce nello sviluppo economico della Sicilia. A questo punto sento già qualche lettore che sbuffando penserà di non poterselo permettere, invece no, poichè un pasto completo, senza bevande, costa circa 35-40 euro, durante la mia recensione ho visto mangiare in modo appagante un tavolo con due famiglie spendendo 25 Euro a testa, perfettamente allineato con i costi della media del settore in cui però non c'è traccia di... tracciabilità e selezione delle materie prime. Un miracolo? No, ricordate che Marco è laureato in materie economiche? Tramite accordi di filiera e mantenendo un po' più basso il ricarico è riuscito a costruire un'offerta accessibile e di qualità, una sorta di modello da diffondere e da studiare, quasi da tesi di laurea! Prova provata che "ristorante buono si può" anche a prezzi abbordabili, come io affermo da tempo.
La brigata: Santaiti, Compagno, Terzo, Tarantino, Benfante e MiahPoco dopo arrivato a Villa Costanza sono stato accolto dal direttore di sala Marco Conciauro, subito dopo però mi sono recato nella zona adibita alla pizzeria, potevo mai evitare ciò?! Intervistando i tre pizzaioli Maurizio Battaglia, Vittorio Arnone e Marco Bianco, ho condotto una mini recensione in perfetto stile "Pizza buona si può". Gli impasti offerti sono tutti di grani antichi moliti a pietra più o meno burattati, processo di lavorazione che consiste nel setacciare lo sfarinato eliminando parti variabili di crusca, pertanto così si ottiene una farina più "leggera" rispetto alle integre, più facilmente lavorabile, ma sempre problematica per la realizzazione di pizze tecnicamente accettabili, soprattutto se con basso tenore di glutine come nel caso dei grani antichi. Tornando agli impasti offerti, essi sono cinque, tre in purezza, Biancolilla, Perciasacchi e Tumminia diversamente burattati e quindi con una quantità di crusca variabile, completati da due impasti di Biancolilla rispettivamente con innesto di farina di carrube e di farina di canapa. La maturazione in frigo da 48 ore viene realizzata dopo alcune ore di lievitazione a temperatura ambiente, infine i panetti vengono ulteriormente fatti lievitare prima dell'uso.
Lo so, siete impazienti di sapere cosa ho assaggiato e che impressioni ho ricevuto dalla mia esperienza, pertanto eccovi subito accontentati, iniziando proprio dalla pizza a mo' di antipasto.
La margherita di Villa Costanza
Scegliere la margherita con impasto di Biancolilla è stato obbligatorio al fine di ben valutare gli ingredienti base della pizza, esso è infatti il classico di Villa Costanza cioè l'impasto che vi serviranno in mancanza di richieste specifiche. Il mio primo approccio, di natura estetica, è stato piacevole, l'aspetto napoletaneggiante con un bel cornicione pronunciato ha toccato le corde delle mie preferenze, inutile descrivere profumo e sapore dell'impasto, erano entrambi al top, ottima anche la mozzarella, un eccellente boccone in acqua di produzione ragusana spezzato a mano alla bisogna, nonchè la passata di pomodoro, poco condita ma perfettamente equilibrata come asprezza. Il forno è a legna ed il lievito è una pasta madre aggiunta all'impasto in quantità relativamente basse, senza l'ausilio del solito starter di lievito di birra. Considerando caratteristiche e risultato, tra l'altro raggiunti empiricamente nel corso degli anni, senza aver mai seguito un corso per pizzaioli, bisogna lodare lo staff della pizzeria e quindi bypassare l'unico problema tecnico riscontrato, consistente nella mancata alveolatura del cornicione, nonostante la buona idratazione che arriva a circa il 70%. Incredibile il rapporto qualità prezzo delle pizze, infatti la margherita costa 5 Euro e la pizza più cara arriva a 13 Euro, ma in quel caso si viaggia nel menu "slow", consegnatomi a parte e composto solo da pizze con ingredienti Presidi Slow Food, offerte quasi tutte a 12 Euro!
Cruda freschezza
Dopo questo incontro con la pizza, sono entrato in cucina dove Antonio Terzo, chef che segue il locale sin dalla sua apertura di 18 anni fa, aiutato dal suo braccio destro Vincenzo Compagno, e da Gianluca Santaiti, Giuseppe Benfante, Giovanni Tarantino e Billal Miah, ha voluto iniziare con due crudi, il primo era costituito da una "Tartare di ricciola al melograno", ma preparato con l'ombrina, causa mancanza del pesce previsto, la cui caratteristica più evidente è stata quella della freschezza, senza però dover scomodare eccessive acidità, forse l'abbinata ha funzionato meglio così, nonostante il delicato sapore marino dell'ombrina abbia dovuto pazientemente aspettare il suo turno prima di arrivare al mio palato, interessante l'inserimento di ortica spontanea nella tartare. Questo piatto, io lo avrei sicuramente chiamato "Cruda freschezza" e forse perchè l'ho conosciuto con l'ombrina, non riesco a immaginarlo con la ricciola.
Volubilità siciliana
Con il secondo crudo Antonio Terzo ha giocato sulla difficoltà di abbinamento, sfoderando una Tartare di Gambero Rosso di Mazara con acciuga di Balistreri, Caciocavallo di Cinisara e crostino di grano antico, nella quale ho apprezzato molto il modo in cui la dolce grassezza del gambero ha smorzato l'aggressività dell'acciuga, incoronato dalla quasi gentilezza delle scaglie di caciocavallo attentamente dosate. Un piatto che, i motivi su esposti di variabilità di profumi e sapori tra mare e terra, molto rappresentativi dell'isola, personalmente chiamerei "Volubilità siciliana", per indicare il mix di gusti, a volta constrastanti, ma non per questo non armonici, che il piatto ha espresso.
Risotto rosamarina
Terminati gli antipasti è arrivato un primo piatto costituito dal "Risotto con ricciola al fumo di rosmarino" creato estemporaneamente, quindi non a menu, ogni tanto a Villa Costanza succede anche questo, che mi ha fatto pensare all'antica nobiltà palermitana, sarà stata la delicatezza dell'interessante abbinamento, certamente non l'effetto scenico della campana con sotto il fumo, ma mi è particolarmente piaciuto, difficile da realizzare con il rosmarino fisicamente aggiunto, ma che nella versione leggermente "affumicata" è stato vincente. Anche in questo caso ecco il mio nome: "Risotto rosamarina", perchè richiama il nome del rosmarino, la gentilezza della rosa e l'acqua del mare, tutti profumi, sapori e sensazioni presenti nel piatto.
Spaghetti del nostro orto
Il successivo primo piatto, accostato al risotto, mi ha riportato alla mente il libro "Cucina siciliana di popolo e signori", ultimo lavoro di Martino Ragusa che mi è capitato di leggere e recensire, perchè se il candore e la delicatezza del Carnaroli precedente ispiravano nobiltà ed elevazione dell'anima, con gli "Spaghetti del nostro orto" si è scesi in campagna, al desco dei contadini siciliani, abbronzati e asciutti come solo chi coltiva la terra può essere, in alternativa per i più audaci, il diavolo e l'acquasanta! Ovviamente posso solo immaginare quanto variabile possa essere il condimento di questi spaghetti, fortemente influenzati dalla stagionalità dell'orto, nel mio caso c'era porro, pomodoro siccagno D'Aragona, cavolicelli spontanei, passolina e pinoli, scaglie di Caciocavallo di Vacca Cinisara e mollica tostata, la pasta era una eccellente Tenute Costa, di solo grano duro, trafilata al bronzo, ma soprattutto essiccata lentamente, quindi anche in questo caso abbinamenti perfetti, armonia e gusto potente per un risultato eccellente.
Costolette di agnello al Cioccolato Modicano
E arrivò il momento dei secondi, ma anche di un Antonio Terzo che ha voluto fare il... primo della classe... riuscendoci con le "Costolette di agnello al Cioccolato Modicano" panate in Pistacchio di Bronte. Beh, non sono proprio una novità, piuttosto un classico assoluto, ma anche un piatto abusato da mille varianti, tuttavia non per questo facile da realizzare, anzi, partendo dalla presentazione e arrivando soprattutto alla cottura, se in cucina non si è bravi e la materia prima non è eccellente, può diventare una prova killer, per il palato del commensale e/o per la recensione del locale. Sinceramente, in questo caso, non sono riuscito a trovare nessun difetto a cui appellarmi, era tutto perfetto, infinitamente buona la carne, cotta in modo corretto e dal gusto delicato, nonostante l'agnello sia comunque un elemento strong. Le costolette avevano subìto solo un leggero massaggiamento con del sale, nessuna marinatura, poi è toccato al pistacchio ed alla grattugiata di Cioccolato di Modica apportare la dolcezza per equilibrare la carne, che comunque ha espresso una sapidità intrinseca, non credo sia stata influenzata dalla salatura iniziale, risultato eccellente.
Barattolo di vetro con pescato del giorno confit
L'altro secondo poteva solo essere di pesce, ed anche questa volta Antonio ha esagerato, stavolta con notevole inventiva e originalità, facendomi assaggiare il suo "Barattolo di vetro con pescato del giorno confit", in sostanza la cucina si è cimentata contemporaneamente in una oliocottura e vasocottura effettuate a 70 gradi, inserendo nel barattolino di vetro, oltre alla ricciola, anche indivia belga, erbette e spezie varie, tipico caso in cui conviene non fare "scarpetta", ma direttamente "zuppetta"! Attenzione, la grammatura era stata ridotta in occasione della mia degustazione, giusto giusto per quello che secondo me è stato il miglior piatto che ho assaggiato a Villa Costanza, sotto tutti i punti di vista, quello tecnico, quello sensoriale ed infine quello salutistico perchè un pesce cotto a bassa tenmperatura mantiene maggiormente intatte le proprie caratteristiche nutrizionali. Piccolo appunto sulla ricciola, pesce che raramente mi è capitato di poter apprezzare a causa della sua stopposità, questo è uno dei modi in cui non si rischia di rovinarlo e lo si esalta al massimo, il mio grazie va allo chef e a tutta la brigata di cucina.
Tra il salato e il dolce si è inserito, come per magia, una portata di finocchio biologico crudo, fresco, croccante e aromatico come non mai, ottima idea.
Costanza nel paese delle meraviglie
Fa ormai parte della storia della televisione una celebre "caduta sull'uccello" di buongiorniana memoria, ma in un ristorante è il dessert ad impersonare la parte del volatile! Nel senso che in tanti, arrivati al dolce, cadono miseramente, a prescindere dalle stelle e stelline, gamberi e gamberetti di guide varie. Invece ho scoperto che Villa Costanza ha un jolly, carta segreta che è stata prontamente uscita per il mio fine pasto, mi riferisco a Vincenzo Compagno, braccio destro di Antonio Terzo, quindi chef anche lui, ma appassionato di pasticceria, giusto a confermare il mio detto: "il pasticcere può fare lo chef, ma lo chef non può fare il pasticcere", tranne appunto qualche raro caso in cui è coinvolta la passione, come ad esempio è accaduto con Vincenzo. Il personale di sala è perfettamente addestrato a illustrare i dessert proposti dal locale ad ogni cliente alla fine del pasto, tramite una sorta di "carrelino dei dolci", costituito da una alzatina in vetro che ne comprende solo cinque ma ricchi di ingredienti siciliani, dopo di che è quindi arrivato anche quello a me destinato. Il dessert propostomi era stato chiaramente pensato al piatto ed era composto da un crumble in cui spiccavano dei potenti sentori di burro, per scelta realizzato molto croccante, decorato con frutti di bosco e irrorato da una colata di cioccolato bianco fuso, il tutto incorniciava una ganache al cioccolato montata, realizzata con un blend di Modica e altro 70%, che mi ha convinto subito, nonostante la sicura base di provenienza "africana" essa ha sviluppato dei sentori molto morbidi, per niente aggressivi come ci si poteva aspettare dalle sue origini, forse per merito dell'attenta selezione del cacao impiegato dall'azienda produttrice e probabilmente dall'inserimento anche di parti di cacao sudamericano o del Madagascar. Il tutto era coreograficamente abbellito dal solito fumo, stavolta agli agrumi, che ha profumato un bicchierino di Malvasia prodotto dalla Cantina Pellegrino.
Però in questo caso qualche appunto tecnico l'ho dovuto fare, ad esempio la massa principale di ganache, essendo si buona ma comunque molto grassa, l'avrei inframezzata con dei dischetti di mordido bisquit al cacao o meglio alla vaniglia, quindi di colore chiaro per migliorare l'effetto estetico del taglio, da piazzare anche a contatto del piatto, quest'ultimo sostituibile con una frolla sottilissima ma croccante, come se fosse un piccolo tortino. Bisogna però dire che Vincenzo non è solo in "pasticceria", anche lui ha un suo braccio destro costituito dal giovanissimo Giovanni Tarantino, pasticcere stavolta "di nascita" che sta apprendendo parecchio da questa esperienza. Concludendo l'argomento dessert, trovare un impegno del genere, anche solo nella presentazione al piatto, per non parlare del gusto, e del personale dedicato in cucina, in un locale il cui costo medio del pasto completo si aggira intorno ai 35-40 Euro, è sicuramente un fatto molto raro o riservato a ben altra categoria della ristorazione.
Infine, a chiusura, un piacevole sorbetto al succo di Mandarino Tardivo di Ciaculli, però un po' troppo dolce per i miei gusti, ha ripulito palato e... anima e coscienza da quei tanti peccati di gola che lo avevano preceduto.
La brigata di cucina, al centro Compagno, Terzo e TarantinoA Villa Costanza però si cura anche ciò che gravita intorno ai piatti, ad esempio il pane servitomi che era di tre tipi, Tumminia, Biancolilla con semi di papavero e alla Carruba, rigorosamente preparato nella cucina del locale con i corrispondenti impasti della pizzeria, mentre invece l'acqua proveniva dal depuratore del ristorante della quale ho apprezzato neutralità di sapore e perfetta gasatura. I Durastanti non si sono fermati qui, poichè oltre l'acqua, curano anche altre bevande, come il vino, attualmente in preparazione, ma soprattutto la birra artigianale, con ricette create da Gaetano Bucaro del Birrificio Kimiya di Altavilla Milicia (PA) in simbiosi con Marco Durastanti, sono quindi nate la Costanza Pale Ale e la Costanza Amber Ale, due ottime birre ricche di ingredienti siciliani, la prima con Tumminia e Perciasacchi di Molini del Ponte, Lumia di Altavilla, fiori di zagara bianca e la seconda con Arance di Altavilla, Miele di Ape Nera Sicula tipo millefiori di Claudio Meli e Russello biologico del Molino Riggi, tutte prodotte a Sinagra (ME) negli impianti del Birrificio Epica, entrambe particolarmente profumate grazie all'adozione della cosiddetta tecnica del dry hopping, con l'amaro del luppolo sottile e persistente da me molto apprezzato, ben presente e persistente, tuttavia molto fine ed elegante, dopo l'apparente ruffianamento dei profumi agrumati, secondo me è questa la caratteristica più importante che le due birre hanno espresso. Per gli esperti, allego qui di seguito la descrizione riportando le parole di Gaetano Bucaro: "Ho voluto che spiccasse in entrambe l'agrumato, sia con l'infusione delle scorze di Lumia nella bionda che di arancia nella Amber. Il profumo intenso deriva da un massiccio dry hopping (circa 4g/l) di citra e centennial nella bionda e amarillo e cascade nella Amber. Per l'amaro ho lavorato tanto contro la mia natura (spesso ci vado pesante), quindi ho diviso le gittate in 2: a 50 minuti e a 40, quindi presente ma non invadente o prevaricante rispetto agli altri ingredienti. E' molto difficile fare birre per altri, soprattutto per locali blasonati come Villa Costanza, devi trovare anche qui, il giusto equilibrio tra le richieste, le aspettative, il pubblico che la deve bere e la propria indole nel fare birra".
In conclusione, sono rimasto molto sorpreso e anche un po' stupito dai tanti aspetti positivi di Villa Costanza, aspetti che hanno toccato tutti quegli argomenti che oggi rappresentano altrettanti talloni d'achille della ristorazione e che la separano dalla parola qualità. Costanza e Marco Durastanti hanno sdoganato l'alta cucina, dimostrando che si può realizzare un'offerta rispettosa di prezzi, tracciabilità, sensorialità e servizio al cliente, infatti ho notato anche una certo sinergia tra sala e cucina e viceversa, parafrasando il noto Maitre Carlo Hassan, "non c'è sala senza cucina e non c'è cucina senza sala", insomma, un esempio a 360 gradi da studiare e imitare. Per tutti questi motivi, dopo aver valutato attentamente tutti i parametri previsti, assegno ben 4 "artusini" con la concreta possibilità, con una futura rivalutazione, di arrivare ai 5.
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