Via Maqueda gremita di pubblico già all'aperturaLo Sherbeth Festival è giunto alla sua settima edizione e quest'anno, dopo un pausa di riflessione di un paio d'anni, ha lasciato Cefalù spostandosi a Palermo, dove si è svolto dal 17 al 20 Settembre 2015, animandone il centro storico da Piazza Bologni fino al Teatro Massimo di Piazza Verdi.
Trenta i gelatieri a concorso, con la defezione della concorrente marocchina. In questi quattro giorni si è vista una notevole partecipazione di pubblico grazie anche alla lodevole iniziativa del Teatro Massimo che ha scelto di offrire alla cittadinanza la prima della Boheme ed altri spettacoli. Da palermitana vi dico che la mia città, quando respira di arte, diventa viva animata e bellissima. Il gelato e gli spettacoli, nonché le conferenze e le dimostrazioni di chef gelatieri e pasticceri hanno fatto il resto.
È in questo tripudio di gente, di suoni e di colori che è iniziata la mia ennesima incursione fra i gusti di gelato, ma devo confessare che più aumenta la mia consapevolezza di ciò che davvero è un prodotto artigianale, più il mio senso critico si fa spietato. Ergo, stavolta mi sono mossa cauta per tenere a freno l’entusiasmo della golosa che è in me, affinchè non si disfasse della cinica che odia farsi sopraffare dalle gioie chimiche indotte dal saccarosio.
Il chioschietto della Pasticceria CappelloHo avuto ragione. La semplicità si conferma la scelta migliore, nel rispetto della materia prima attraverso uno studio attento e meticoloso del bilanciamento della miscela. Per questo ha vinto un maestro pasticcere palermitano, Salvatore Cappello, con il suo cioccolato del Madagascar al 64%, con zucchero di canna, olio di semi di girasole spremuto a freddo e farina di riso e di semi di carrube. Un inno alla semplicità che ha permesso al cru di esprimersi in tutti i sentori agrumati, di frutta secca e di vaniglia della sua terra. Pochi altri a mio avviso hanno meritato lo stesso riconoscimento.
Marco Viel, il buon gelato dalle Dolomiti a PalermoMarco Viel, con il suo "Sambuco e lavanda delle Dolomiti”, mi ha particolarmente colpito per la delicatezza dei suoi profumi. Antonino Genduso, con il suo limone e il suo caffè per vegani e celiaci mi ha stupito per l’intensità dei sapori e l’ottima palatabilità.
Però per me, la sorpresa di questa edizione è arrivata dal “Grano del miracolo” del romagnolo De Feo. Intenso, aromatico e perché no, romantico nella sua intenzione di recuperare i grani antichi italiani. È confortante sapere che non tutto è perduto, che ci sono persone che stanno facendo quanto è nelle loro possibilità per salvaguardare tradizione e memoria e Sherbeth, chiedendo ai maestri gelatieri di realizzare un gelato che recuperi i sapori del territorio, segue la via tracciata da Slow Food nell’intento di trasmettere ai consumatori il desiderio di ritrovare sapori dimenticati. Proprio per questa ragione ho maggiormente apprezzato i gelati come il melone di Libera Terra, prodotto dal maestro Campisi di Bagheria, per quanto la dolcezza eccessiva dei meloni avrebbe forse richiesto meno zucchero.
Pomo e Aianico di Adele Iuliano, fresco e leggero, trascinante nelle note finali tipiche del vitigno.
Il messicano cioccolato azteco e cocco e l’inglese crema di brownies e noci del Kent, mi hanno colpito per la capacità di sfruttare al massimo l’aromaticità del cioccolato e l’intensità conferita dalle noci e dal cocco, persistenti in bocca anche dopo diverso tempo.
Lodevole e buonissimo il gusto miele d’ailanto e meringa, di Pierluigi D’ambrosio. L’ailanto è un albero che arriva dalla Cina ed è una specie particolarmente infestante, ma alcuni anni fa il Consorzio Apicultori della provincia di Udine ha deciso di riabilitarlo per produrre un miele con grandi caratteristiche organolettiche e un gusto fruttato e avvolgente. Nel gelato di D’ambrosio si combina perfettamente con la croccantezza conferita dalla meringa, e il sapore di miele permane nel palato per molto tempo.
Si confermano il pistacchio di Bronte di Santo Musumeci, fichi e noci di Del Verme, le granite di Mammana, la vaniglia della Val di Zoldo e il gusto Gianduiotto di Soban. Ottima la nocciola di Matroianni dalla Calabria e il torrone siciliano dei Fratelli Granata.
Nella categoria “senza infamia e senza lode”, devo collocare la crema delle colline toscane di Tognetti, uva pizzutello di Tirabassi da Subiaco e il gusto Ratafia del Bar Duomo de L’Aquila.
La cannella di Scicli. Gradevole ma troppo dolce. La crema di mentuccia con agrumi dal Portogallo l’ho trovata eccessivamente grassa e dolce. Mi perdoni il Maestro Guerreiro, ma non riesco ad apprezzare un gelato alla menta che sia anche solo leggermente verde.
La spongata di Brescello e la panna cotta piemontese non hanno soddisfatto le mie aspettative, lo stesso posso dire per la crema al chinotto. Personalmente vado matta per questo agrume e a mio parere un sorbetto avrebbe centrato maggiormente l’obiettivo.
Nella categoria “Ma Perché??”, inserisco il gusto mandorla e percoca della Pasticceria Pellegrino di Canosa di Puglia. La mandorla, eccessivamente tostata e caramellata, ha reso del tutto invisibile la percoca. Avrei cambiato il nome. Nel gusto strudel alle mele cotte con noci e pinoli, riassaggiato più volte, non ho notato nessun sapore predominante, il tutto si perde in un elenco infinito di ingredienti in cui nessuno fa da padrone. Lo stesso dicasi per la schiacciata all’uva di Ilaria Scarselli dalla Toscana.
Non classificati il gelato al Parmigiano con il metodo dell’azoto liquido e il dolce salfiore di Cervia. Chiedo venia, ma né io né il popolo abbiamo apprezzato.
Antonio Cappadonia, direttore tecnico SherbethDi anno in anno vivo lo Sherbeth come una sfida per affinare le mie competenze e le mie capacità critiche, per questo invito i diretti interessati a replicare in merito alle loro scelte tecniche, qualora lo volessero. Tengo a precisare che ogni mio giudizio non è solo frutto di osservazioni personali, ma anche scambio di opinioni con molti altri assaggiatori che mi hanno espresso il loro parere, tecnico e non. Non intendo giudicare l’esperienza di artigiani che svolgono il loro lavoro ogni giorno con passione e impegno, ma lo Sherbeth, oltre ad essere una vetrina, è anche occasione di confronto e miglioramento, nonché una gara.
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