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Maurizio Artusi
Doc Monreale: una kermesse tra vini e monumentiPDFStampaE-mail
Giovedì 23 Agosto 2012 23:50
Scritto da Maurizio Artusi


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KermesseDocMonreale 1Eccellente iniziativa quella tenutasi il 4 agosto 2012 nella città di Monreale, in collaborazione con l’Istituto Regionale per la Vite e gli Oli, l’ARS e Archikromie, l’associazione palermitana che si è occupata dell’idea e della realizzazione del progetto.

L’evento nasce per promuovere il Consorzio di Tutela della DOC Monreale, del quale da pochi mesi è presidente Mario Di Lorenzo, titolare della Cantina Disisa, grazie anche al sostegno dell’onorevole Salvino Caputo, deputato regionale del Pdl e presidente della Commissione Attività Produttive all’Ars.

Il consorzio raggruppa tredici cantine, sparse in un vasto territorio che comprende Camporeale, San Giuseppe Jato, San Cipirello, Santa Cristina Gela, Corleone e Roccamena e parte di quello di Monreale e Piana degli Albanesi, dunque un territorio con enormi potenzialità vitivinicole che attende solo il dovuto riconoscimento internazionale, nell’auspicio che la Doc Monreale divenga nota al pari dei beni culturali di Monreale.

Da qui l’iniziativa, che ha mirato fondamentalmente a sottolineare quanto la cultura del vino sia intrinseca alla storia di tutto l’Alto Belice Corleonese fin dalla fondazione della Diocesi di Monreale nel 1176, anno in cui Guglielmo depone la pergamena con l'atto di fondazione e dotazione dell'Abbazia, che per obbligo doveva garantire l’autonomia e la sussistenza dei frati e della diocesi tutta, con fonti di grano, di olio e di vino.

Monreale diventa così il baricentro di uno dei territori amministrativi più vasti di tutta Europa, con un’importanza che nasce da un’ampiezza che racchiude al suo interno storia, popoli e tradizioni, mantenute inalterate nel corso dei secoli.

E’ un territorio che si identifica oggi con 23 comuni ma il cui perno fondamentale è il Duomo, eretto nel 1174 da Gugliemo II Re di Sicilia, dal quale prende il nome la piazza che ha accolto la kermesse in questione.

La chiesa adotta questo territorio per volontà del Re e lo mantiene nei secoli, sviluppandolo con la necessità di portare denaro alla curia romana, venendo addirittura definito dagli storici "la prima industria agroalimentare" che la Chiesa riuscì a creare.

Nascono quindi gli insediamenti rurali ecclesiastici, da cui poi sono sorti i paesi di San Giuseppe Jato, Corleone, Bisacquino, quei 23 comuni che si sono ritrovati nel tempo a diventare cittadine accomunati dalla caratteristica di coltivare olio e vino.

KermesseDocMonreale 2Un capitello del Chiostro di MonrealeSegni di questo vincolo quasi ancestrale, fra Monreale e il vino, sono i mosaici contenuti all’interno del Duomo, con la rappresentazione di Noè intento a coltivare e poi a spremere l’uva, e ancora nella sòlea, elemento architettonico di edificio ecclesiastico in questo caso abbellito con immagini delle nozze di Canaa, infine, anche nei capitelli delle colonne del Chiostro, fortemente voluto dagli Altavilla a completamento del complesso del duomo. In esso, ritroviamo ancora una volta scene di vendemmia, a simboleggiare allegoricamente la vigna di Dio che gli apostoli spargeranno per il mondo, predicando il vangelo in tutte le nazioni.

Il vino, nonostante le influenze islamiche che consigliano di non eccedere, come eredità delle tribù nomadi che abbracciarono l'islam, è anche strumento di convivialità e gioia del paradiso; nella fede cristiana assume invece la doppia valenza di sangue di Cristo e di strumento del demonio per tentare l’uomo, ciò questo è riscontrabile nei mosaici dove si rappresenta l'episodio in cui Noè si ubriaca e si denuda, esponendosi al ludibrio del figlio Cam e alla vergogna per la perdita del senno e del decoro, ma i figli Sem e Iafet, in un gesto d’amore, lo coprono, perdonandolo per aver peccato principalmente verso se stesso.

KermesseDocMonreale 4Piazza Guglielmo IILa degustazione tecnica, guidata dal sommelier Filippo Barbiera e organizzata da Archikromie all’interno della piazza Guglielmo II, ha visto coinvolte sette delle tredici cantine della Doc, con tre vini bianchi e quattro rossi, a testimoniare che in un bicchiere non troviamo soltanto il prodotto di una fermentazione che ci rende allegri e beoni, ma il frutto di un prodotto fortemente voluto con le sue caratteristiche e peculiarità già in vigna, e il risultato di una sapiente collaborazione fra chi crede nella valorizzazione dei vitigni autoctoni, che per qualità e tradizione nulla hanno da invidiare nel contesto internazionale.

 

1. Feudo Disisa con il Nero d’Avola Vuaria.

Nero d’avola in purezza, con 14 mesi in barrique. Un vino che può dare tanto, con i suoi riflessi pieni e sentori di cioccolato, di marasca e di liquirizia.

2 . Saillier De la Tour gestita dai conti Tasca d’Almerita con “La Monaca”.

Sirah in purezza con 18 mesi di barrique, curato dall’enologo Mario Licari. Un vino del 2009, rosso rubino, dai riflessi violacei, al centro della sua maturità, dai toni speziati, tostati, oscillanti fra il tabacco, il cioccolato e il cuoio.

3. Marchese De Gregorio con “La Corte”.

Merlot di coltivazione biologica la cui uva ha il grappolo del caratteristico colore bluastro. Il vino ha riflessi violacei, rosso rubino, con un’intensità di colore dovuta alla presenza di polifenoli e antociani. Abbiamo sentori di ciliegia e frutti rossi. È un vino secco, minerale, molto sapido e persistente.

4. Azienda Tamburello con l'apprezzato "Pietragavina Perricone".

Perricone in purezza, leggermente affinato in barrique, bilanciato, morbido, non spigoloso, poco acido.

5. Principi di Sapadafora con il “Sole dei Padri”.

Syrah secco, dolce, maturo,morbido.

6. Principe di Corleone con il Pinot bianco.

Guidata dalla famiglia Pollara, l’azienda alleva vitigni autoctoni come il Catarratto, il Nero d’Avola e l’Inzolia, innestati con Cabernet, Chardonnay e Pinot. Proprio il Pinot Blanc, nonostante sia per natura abituato a crescere in aree dai climi meno temperati, in Sicilia si è adattato benissimo.
Questo è un Pinot di colore giallo paglierino, dorato con riflessi verdognoli, probabilmente dovuti alla raccolta anticipata, prima che la maturazione sia portata a termine. Vino giovane e fruttato dai sentori erbacei e una struttura alcolica che conferisce un certo calore all’assaggio. Secco e sapido, porta a salivazione ma lascia la bocca pulita all’assaggio.

7. La Cantina Alto Belice Corleonese con il “Trerrè”.

Un Catarratto prodotto da una cooperativa di 80 vignaioli distribuiti nel territorio fra San Giuseppe Jato e San Cipirello, che proprio dalla prima nasce in seguito a terribili frane causate dalle piogge torrenziali che colpirono l’area nel 1838. Grazie alla presenza del Belice e dell’Oreto, un tempo totalmente navigabili grazie al sapiente lavoro di canalizzazione compiuto dagli Arabi, queste terre erano ricchissime di acqua. Il Catarratto qui prodotto è una varietà autoctona, portata dai Fenici, coltivata dai Greci e migliorata dai Romani, che fra i tanti meriti ebbero anche quello di portare i processi di fermentazione a vantaggio del vino. Questo è un vino giovane, dal giallo paglierino dorato, secco e sapido, dai sentori di pesca gialla e di margherita.

 

PICCOLO DIZIONARIO DEL VINO

Uvaggio: è un’operazione che porta a miscelare uve di varietà diverse.

Blend: miscela di vini provenienti da vinificazioni e/o uve diverse.

Vino secco: sensazione dovuta alla fermentazione che ha esaurito gli zuccheri presenti nell’uva.

Vino salato: sensazione dovuta alla presenza nell’acino di sali minerali e tannini.

Tannino: componente amara dell’uva, presente nella buccia e responsabile di colore e sapore del vino. Produce sulla lingua il cosiddetto “allappamento”, limitato alla punta se i tannini sono verdi, prodotti quindi da raspi e vinaccioli , più esteso se i tannini sono nobili, più morbidi e prodotti quindi dalle bucce. Anche i vini bianchi contengono tannini, ma non ci sono quelli delle bucce.

Antociani: pigmenti presenti nelle bucce delle uve rosse.

Polifenoli: componenti antiossidanti del vino; quelli totali sono dati dalla somma degli antociani e dei tannini.

 



 


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