La dichiarazione di Marco Busalacchi, sul proposito di far diventare Avvinando, entro il 2015 un evento internazionale, è un obiettivo ambizioso, ma secondo me, possibile. La manifestazione, quest'anno, ha registrato un consistente aumento degli espositori, arrivati a oltre 120 con più di 600 etichette in degustazione, il credito di cui gode è aumentato e se, nei prossimi 5 anni, riuscirà a crescere ancora, l'apertura alla ribalta internazionale sarà facile conseguenza. Una bella occasione per confrontare i vini siciliani con il resto del mondo ! La manifestazione dovrà però adeguare i propri tempi, già molto stretti, aumentando i giorni di esposizione e privilegiando gli operatori del settore in cerca di contatti e di nuovi prodotti. Attualmente i due pomeriggi della manifestazione, conditi con ben 4 laboratori di degustazione di vini e 2 momenti gastronomici, sono nettamente insufficienti; inoltre, io stesso ho incontrato ristoratori che non erano per niente facilitati dalla confusione che si era venuta a creare dopo un certo orario, si poteva, per esempio, destinare il lunedì mattina solo all'ingresso degli operatori del settore.
Ma basta con le considerazioni personali, è arrivato il momento di raccontare i miei due giorni a Villa Boscogrande iniziati Domenica 23. Appena arrivato, ho approfittato subito della iniziale mancanza di pubblico per visitare alcune cantine. La prima azienda, è stata Marchesi De Gregorio, recentemente oggetto di attenzione da parte della stampa locale grazie all'apertura di un Wine Resort attiguo alla cantina. Dopo una veloce carrellata sui rossi di questa cantina, a cavallo tra la Doc Monreale e la Doc Alcamo, sono passato alla Tenuta di Capraia con il suo Chianti Classico Riserva DOCG 2006; Tasca d'Almerita con il Rosso del Conte 2005; Capofaro con la Malvasia delle Lipari 2008; Museum con una Malvasia del 2002 appena imbottigliata; Masciarelli con Castello di Semivicoli 2007, Trebbiano Marina Cvetic 2007, Montepulciano Marina Cvetic 2006 e Villa Gemma Rosso 2004; Masi con il suo famoso Campofiorin 2007, Costasera Amarone Classico Riserva DOC 2004, Gewurtztraminer Bossi Fedrigotti DOC 2009, Masi Bianco e infine, dalla tenuta argentina, il Paso Doble 2008; Mastroberardino con il Taurasi Radici DOCG 2005; Nicosia con il Frappato 2009, lo Zibibbo Liquoroso, e la Malvasia, anch'essa con aumento della gradazione alcoolica, che però mi sarebbe piaciuto assaggiare in versione non liquorosa in quanto, dietro le pieghe dell'alcol, si intravedeva un carattere non comune, che non riusciva a svelarsi appieno, anche se, l'enologo Maria Carella, mi ha successivamente spiegato, via email, il perchè della scelta alcolica, indirizzata ad una più duratura conservazione dei profumi, ad una diversificazione del prodotto rispetto alla concorrenza e quindi ad una migliore sua penetrazione commerciale.
Terminato questo mio primo giro per i tavolini delle cantine, sono passato alla prima degustazione guidata incentrata sugli Champagne dal titolo: "Le grandeur du perlage". Etichette tra le migliori, con diverse fascie di prezzo, da 25 a 150 euro, sapientemente commentate dal Barone Roberto Beneventano della Corte e dal Dott. Maurizio Mattarella. A degustazione avvenuta ho scoperto che prediligo gli Champagne a blend classico e che anche i bianchi a volte vanno decantati; ho inoltre notato come, le 7 etichette degustate, esprimevano ognuna una personalità che li differenziava l'uno dall'altro, tutto ciò non facendo sfigurare le fasce di prezzo più basse che si sono ben comportate di fronte alle più blasonate etichette. Gli Champagne erano, in ordine di degustazione: Steinbruck Cuvée Millesimé 2003, Joseph Perrier Cuvèe Royal Brut 2002, Steinbruck Cuvèe Brut S.A., Pommery Brut Millesimé 2000, Bollinger Special Cuvée 2001, Billecart Salmon Cuvèe Nicolas Francois 1998, Legras R&L St.Vincent grand Crue Blanc de Blanc 1996. Le mie personalissime preferenze sono cadute sui due Steinbruck, sul Bollinger e infine, come non amare un vino bianco che si è fatto quasi 15 anni di "detenzione forzata" in bottiglia, l'inebriante St. Vincent Blanc de Blanc del 1996.
Giusto il tempo di lasciare la sala, intrattenermi a scambiare quattro chiacchiere con Liborio Mangiapane, raro produttore di Caciocavallo con 100% di latte crudo di Modicana, un saluto a Franco Pecoraro, fiduciaro Slow Food Caccamo e Monti Sicani, ai due fratelli Bonetta di Baglio del Cristo di Campobello, ad Alberto Rizzo dell'Osteria dei Vespri di Palermo, e già subito la seconda degustazione dal titolo: "6 grandi regioni vitivinicole e 6 vini rossi" Ad accompagnarci tra questi rossi, Nino Aiello, Giancarlo Lo Sicco, entrambe giornalisti enogastronomici, Francesca Tamburello, Delegata AIS Palermo ed Edoardo Raspelli, volto noto di Mela Verde. Anche questa è stata una degustazione esclusiva, all'insegna della qualità vitivinicola italiana. Si è iniziato subito con un Barolo Vigna dei Dardi 2004 di Fantino, per continuare in sequenza con un Brunello di Montalcino Poggio alle Mura 2004 di Banfi, un Nero d'Avola Rosso del Conte 2004 di Tasca d'Almerita, un Taurasi Radici 1999 di Mastroberardino, un Pinot Nero Barthnau 2006 di Hofstatter, un Amarone 1997 di Allegrini. Tutti grandi vini, capaci di meraviglie se dimenticati per qualche anno in bottiglia. Ad un certo punto un dubbio ha percorso il mio senso del vino, avendo conosciuto più di vent'anni orsono il Rosso del Conte, ai tempi del Conte Giuseppe, amante delle grandi botti di castagno e nemico giurato delle barrique, e comparandolo con quello di oggi, stravolto dai legni piccoli, mi sono chiesto se fosse meglio il vecchio e tradizionale, anche se ormai obsoleto Rosso, oppure la moderna e accattivante versione. La Tamburello e Aiello mi hanno espresso la loro simpatia per l'attuale, perchè i gusti cambiano e il vino li deve seguire, ma a sorpresa, tra il pubblico, un responsabile di Tasca d'Almerita ha pubblicamente dichiarato l'intenzione di voler tornare alle origini, senza specificare i tempi, ma mostrando grande considerazione per tale passo all'indietro.
Infine, subito dopo la degustazione dei vini rossi, siamo passati tutti in terrazza per il momento gastronomico "Leccornie... al femminile", che ha visto in primo piano, Marta Messeri, del ristorante "Il Melangolo" di Porticello, grande conoscitrice di pesce e profumi; con essa Francesca Bacile, di Oliver Wine Bar e un momento letterario con la presentazione di ben due libri; il primo, un volumetto sui dolci da preparare in casa, "Io riesco a vederci il sole", scritto da Antonella Sgrillo, titolare del conosciutissimo ristorante vegetariano "Il Mirto e la Rosa" e grande appassionata di pasticceria; il secondo, "Guida ai sapori perduti", scritto e presentato, questa volta, da una "non" cuoca, Marcella Croce. I finger food, preparati dalla Messeri, esprimevano con semplicità la forza del pesce di Porticello, spaziavano dalla delicatezza del gambero e del riccio, fino ad arrivare alla corposità del tonno crudo e dal baccalà sapientemente dissalato. Questo il menù presentato, che non posso fare a meno di commentare rigo per rigo con le sensazioni che ho provato:
granita di pomodoro con gambero rosso "crudo" e olio al basilico: fresco, ha valorizzato al massimo il gambero; tartara di tonno con gelsi neri: unico boccone con il gelso, un fusione di sapori interessante; tartara di baccalà con fragole e riduzione di balsamico: ma era veramente baccalà salato ? ricci di mare con pepe di "szechuan": un boccone di mare; gelatina allo zenzero con tonno, menta e fragoline: qui forse c'era troppa gelatina che separava i sapori; riso basmati con bottarga di tonno fresca, mandorle tostate ed emulsione di rucola selvatica: di solito la bottarga mi disturba, qui no; caponatina di melenzane al cacao con alice marinata: difficile preparare una caponatina così leggera, ma anche gustosa, tutto sommato siamo nel campo dei fritti.
C'è da precisare che, Marta Messeri, pratica un tipo di cucina che molto si avvicina a quella che piace a me: ingredienti freschissimi, cotture brevi, poca elaborazione delle ricette, esaltazione dei sapori in modo naturale, senza condimenti eccessivi, quasi obbligatoria, secondo me, nel caso delle cruditè di pesce presentate. Confesso quindi, che coi suoi piatti, sono stato un pò di parte. I dolci presentati erano invece tutti dei finger food di crema al latte e uova, un budino, con una copertura ai diversi sapori, nei quali si percepiva chiaramente la freschezza degli ingredienti; purtroppo a volte, il profumo e il sapore del, condimento copriva la delicatezza della crema sottostante, ma c'è un motivo per questo, infatti, parlando con la Sgrillo essa mi ha precisato che di solito queste creme vengono servite come un crem caramel, su di un piatto con i condimenti versati sopra, risolvendo il problema della eccessiva concentrazione che invece afflige i finger food a bicchierino. Infine un momento di relax con la Bacile e le sue birre dai diversi volti, dalla wassel non pastorizzata e non filtrata fino alle stout e alla birra alla genziana e al cacao.
Il secondo giorno di manifestazione è iniziato Lunedì alle 13.30, con il secondo e ultimo momento gastronomico di "Leccornie... al femminile". Impostazione uguale al precedente, ma con nuove "attrici". Oltre ad Antonella Sgrillo, la quale si è ancora una volta, preoccupata di addolcire i nostri palati, hanno partecipato due donne, Patrizia Di Benedetto, del Ristorante mondelliano "Bye Bye Blues", e la giovanissima Rosy Pizzo, dell'omonimo locale del centro città palermitano, "Pizzo & Pizzo". Entrambe hanno realizzato dei finger food, ognuna ad espressione dell'immagine del proprio locale; Pizzo ha preparato diversi assaggini realizzati per lo più coi prodotti in vendita presso la sua fornitissima salumeria, ma purtroppo, questi sapori così forti e presenti, spesso contemporaneamente nello stesso boccone, mal si sono adattati col mio palato. La Di Benedetto, invece, ha preparato dei finger food con diverse cruditè di pesce che hanno attratto il mio interesse, soprattutto ricordando quelli della giorno prima portati dalla Messeri. Ottime materie prime e piacevoli accostamenti tranne che per una quasi costante presenza di pesce affumicato, soprattutto polipo, che a lungo andare mi ha un pò sdegnato. In chiusura, le solite birre della Bacile e i delicati budini della Sgrillo.
Dopo il momento gastronomico sono tornato all'arrembaggio delle cantine. Sono passato dal Baglio del Cristo di Campobello, dove Carmelo Bonetta mi ha fatto praticamente assaggiare di tutto, anche i vini in uscita per il prossimo autunno, CDC 2008, Lalùci 2009, Laudàri 2008, Lusyrah 2008 e Lupatri 2008; poi da Emidio Pepe con il Montepulciano d'Abruzzo e il Trebbiano fatto come una volta; un ritorno da Marchesi De Gregorio con i suoi bianchi, che mi hanno convinto più dei rossi del giorno prima, in particolare il Catarratto 2009 e lo Chardonnay 2009, un pò meno l'Inzolia 2009, interessante anche il Syrah 2009. Quest'anno, purtroppo, non ho trovato la solita partecipazione nello spazio riservato alle aziende di prodotti gastronomici, numerose le defezioni, ma nonostante tutto, sono riuscito ad assaggiare due interessanti oli, il primo, dell'Oleificio Terrano di Villafrati, un blend dove il mio naso e la mia bocca hanno subito riconosciuto l'ammandorlamento apportato dalla biancolilla, ma hanno scambiato per cerasuola una'insolita nocellara, in effetti anomala, virata un pò verso il pomodoro, rispetto che al solito carciofo. Poi l'Azienda Olivicola Scimeca, con la sua biancolilla in purezza, interessante olio sul quale si è giocato sulla raccolta precoce per aumentarne il contenuto polifenolico, di per se basso nella cultivar in oggetto; ne è risultato un olio con un dicreto pizzicore, mela verde al naso e un leggero sentore di carciofo, anch'esso molto denso e ammandorlato in bocca.
Dopo quest'ultimo giro tra le cantine, ho partecipato alla degustazione guidata intitolala "De Aetna: la magia di un terroir". Scopo dell'incontro esaltare i più intriganti e longevi vini dell'Etna insieme a Giancarlo Lo Sicco, Francesca Tamburello, Maurizio Mattarella e la presenza di Edoardo Raspelli. Le etichette, tutte nerello mascalese o carricante, in ordine di degustazione, sono state le seguenti: Bianco di Caselle 2007 di Benanti, Etna Bianco Superiore Legno di Conzo 2007 di Barone di Villagrande, N'Anticchia Etna Doc 2006 di Paolo Caciorna, Etna Rosso Montre Ilici 2007 di Biondi, Musmeci Etna Rosso 2007 di Tenuta di Fessina, Etna Rosso Feudo 2007 di Girolamo Russo. Tutti grandi vini, difficile parteggiare per uno o per un altro , ma se dovessi fare una scelta andrei sul N'Anticchia di Caciorna, era quello che mi ha trasmesso di più e che forse aveva più da dire rispetto agli altri, peccato che ne vengono prodotte solo 2600 bottiglie. Dulcis in fundo, l'ultimo laboratorio, che non ho potuto seguire in quanto organizzato direttamente da Anag e Federico Marino dell'omonima Tabaccheria, dal titolo: "Distillati e sigari". In degustazione, Grappe, Whiskey, Rum e Calvados, in particolare: Riserva 1870 e Distillato Moscato Rosa, entrambe di Bertagnolli, Macallan Fine OAK 15 anni, Rum gran reserve 23 anni Solera di Matusalem e il Calvados Pays d'Auge reserve di C. Drouin. Questi eccellenti distillati hanno accompagnato due sigari sudamericani provenienti dall'Honduras, ben diversi dai dolci cubani a cui io sono abituato e tanto affezionato.
Particolarità dell'edizione ? Cosa mi ha colpito di più ? Sicuramente l'elevata qualità delle degustazioni organizzate dallo staff di Avvinando; tra le cantine invece, in primis, Emidio Pepe e i suoi metodi d'altri tempi, il suo Montepulciano d'Abruzzo infatti subisce la diraspatura manuale, fermentazione naturale, affinamento in vasche di cemento e poi in bottiglia, infine travaso a mano delle 60.000 bottiglie prodotte; il Trebbiano, invece, viene pigiato coi piedi ! Del Montepulciano d'Abruzzo, la famiglia Pepe, possiede e vende ancora oggi tutte le annate prodotte, sin dalla sua fondazione avvenuta nel 1964, ciò a dimostrare la grande conservabilità e qualità del vino da essa imbottigliato. Un'altra cantina, già da me ben conosciuta, ma sempre pronta a farsi riscoprire con novità e nuovi profumi, è quella del Baglio del Cristo di Campobello. Carmelo Bonetta, grande affabulatore e sostenitore delle sue bottiglie-figli, frutto di tanto sudore, mi ha cordialmente fatto assaggiare di tutto, mi ricordo molto bene sul mio palato il Grillo in purezza, profumatissimo, con acidità perfettamente trattenuta e una grande sapidità quasi minerale, tale da ricordarmi i migliori vini bianchi trentini. Sensazioni morbide e ovattate con il Syrah, rotondo in bocca, tannico con progressione e finezza, nonostante il misurato uso della barrique. La forza dei fratelli Bonetta risiede tutta nella loro origine: quella contadina, è vero infatti, che il vino si fa nella vigna, ma i Bonetta lo fanno addirittura nella terra. Fare il vino nella terra significa moltiplicare i sacrifici e dilatare il tempo, ma è così che una volta di faceva; purtroppo in tanti ormai preferiscono prendere la scorciatoia e farlo in cantina ! Dopo tanti anni di vino sfuso, solo nel 2007, i fratelli Bonetta, iniziano ad imbottigliare con il loro nome, ed è quasi subito successo, grazie anche alla suggestiva storia del Cristo, meta di pellegrinaggi, collocato nei loro vigneti, che ha dato vita ad un vero e proprio brand, togliendo d'impaccio lo studio e la scelta di etichette e slogan.
Un quarto anno positivo per Avvinando, come si potrà fare di più nel 2011 ? Ancora 12 mesi e vedremo cosa si inventerà l'Associazione Elitaria di Marco Busalacchi e soci.
Tutte le foto della manifestazione
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