Manfredi e Tommaso RizzutoDa alcune analisi compiute sul mercato turistico la Sicilia appare sempre più appetibile a individui con un profilo di livello alto, in cerca di servizi ed esclusività, nell'isola pare che sia anche aumentata la richiesta di affitto di immobili particolarmente grandi e lussuosi a uso casa vacanze, inoltre in questi ultimi anni si è affermata la richiesta di forme "esperenziali", soprattutto nel campo delle gastronomia, nel settore è ormai noto il caso di Pierfilippo Spoto che a Sant'Angelo Muxaro (AG) coinvolge alcune abitazioni private del suo paese per far rifocillare i turisti in una sorta di cena sociale e condivisa.
In Sicilia però non si riscontra particolare dinamismo in coloro che queste formule dovrebbero veicolarle e offrirle, il periodo d'oro dei grandi gruppi di visitatori è ormai terminato, il nuovo turismo è infatti composto da coppie, al massimo famiglie o amici, che organizzano il viaggio autonomamente tramite internet e social, il cosiddetto "turista fai da te", in passato tanto denigrato nella campagne pubblicitarie di un noto operatore del settore, sembra che invece abbia giovato ai suoi protagonisti, lasciando al palo tanti tour operator e agenzie che non sono stati in grado di percepire e adeguarsi al cambio di richieste da parte del cliente.
Guarda caso questo "nuovo" turismo è sempre stato alla base della mia idea di offerta siciliana nel settore, per cui sono stato molto stimolato dall'invito ricevuto dallo Chef Max Ballarò per il 22 e 23 Luglio 2018 a visitare la Masseria Susafa, pertanto oltre a recensire la sua cucina ho anche approfondito, in qualità di ospite, quello che reputo un autentico esempio di "nuova" offerta turistica.
I campi attorno alla masseria coltivati a varietà DuilioLa Masseria, inserita con i suoi circa 700 ettari complessivi, in uno tipico scenario dedito alla prevalente coltivazione del grano, nel territorio di Polizzi Generosa (PA) e sui Monti delle Madonie, ha una lunga storia che inizia nel Medioevo e continua fino alla costruzione dei fabbricati avvenuta nel 1700 e nel 1800, fu in quel secolo che venne acquistata dalla famiglia Saeli arrivando poi ai giorni nostri con Maria Grazia, la quale a fine anni '90, non accontentandosi più della sola coltivazione dei terreni circostanti, decise di far rinascere la struttura, ma senza un preciso progetto. Così dal 2000 fino al 2004 circa i lavori hanno restituito alla fruibilità la Masseria Susafa, così denominata da un gergo dialettale che vuol dire "lo sa fare", riferito all'autosufficienza raggiunta dalla struttura fin dall'epoca Medievale. E' stato però nel 2008 che Manfredi e Tommaso Rizzuto, figli di Maria Grazia, hanno preso le redini della Masseria realizzando il loro progetto finalizzato a restituirgli l'originale identità.
Fin qui però siamo nell'ambito delle belle storie, ma non è un caso che io ve ne stia parlando perchè come già detto il progetto dei fratelli Rizzuto è fondato su un concetto di offerta turistica diverso dal solito. Infatti, in seguito alle ricerche di mercato condotte da Manfredi e Tommaso, è stato scelto di posizionare il target di clientela verso un profilo medio-alto, raggruppando in un'unica offerta turistica servizi, natura, storia, cultura, paesaggistica, genuinità, gastronomia di alto livello ed esperenzialità, insomma un mix irresistibile per i mercati del Nord Europa, a cui infatti la Masseria Susafa si è sempre rivolta non senza qualche difficoltà iniziale, e da cui però ha poi avuto le maggiori soddisfazioni, potendo così vantare oggi un bilancio nettamente positivo alla fine dei suoi ormai dieci anni di attività.
La zona in cui sorge la Masseria Susafa, essendo attorniata solo da campi e con la strada di accesso alla struttura non proprio perfetta, lascia subito intendere che la tranquillità del luogo è uno degli aspetti caratterizzanti l'offerta, l'ospite però non viene abbandonato a se stesso, infatti in quasi tutti i giorni della settimana vengono organizzati eventi, a volte anche con forme di esperienzialità, come ad esempio il corso di cucina, sessioni di wine tasting, escursioni nei dintorni ed altro, inoltre in uno scenario che prevede un cliente coccolato a 360 gradi, non può certo mancare anche l'aspetto del cibo, in questo caso affidato a uno dei pochi chef "completi" che operano in Sicilia, come vedremo più avanti.
Le pinzette di Max, precisione e amore per il dettaglioLa cucina della struttura da pochi mesi è stata quindi affidata a Max Ballarò, uno chef che ha dalla sua parte grande padronanza delle materie prime, delle tecniche di cottura e grazie alla sua precisione, io lo chiamo "l'uomo delle pinzette", anche abilità nel campo della pasticceria, argomento ostico per tanti operatori della cucina, perchè se è vero che "il pasticcere può fare lo chef, ma lo chef non può fare il pasticcere", frase a me molto cara perchè tante volte verificata sul campo, è anche vero che ci possono essere delle eccezioni che comunque confermano la regola.
Max Ballarò è nato ad Agrigento, ma ha frequentato l'Alberghiero di Favara ai tempi del noto Salvatore Schifano, e come tanti ha seguito la strada delle "stagioni" in Italia, ma la svolta alla sua carriera è arrivata a Bolzano quando incontrò Giorgio Nardelli che diventerà poi il suo pigmalione iniziandolo al mondo dei concorsi, poi è stata la volta di tanti paesi del Nord Europa, ma è la Francia che probabilmente ha avuto più peso nella sua formazione, ma è in Sicilia che ha conosciuto la moglie Cinzia. Tutto ciò e tanto altro lo troverete nella video intervista che Max stesso mi ha dato il piacere di registrare in quello che era un antico palmento, oggi bar e zona relax della Masseria Susafa.
I piatti senza sbavature e sempre perfetti di Max, saranno quindi merito delle sue "pinzette", attrezzo da cui non si separa mai, oppure alle sue esperienze soprattutto francesi? Lo scopriremo insieme passo passo qui di seguito, grazie al menu degustazione che egli ha preparato durante la mia permanenza alla masseria.
Calia e simenza
Per chi non lo sapesse, soprattutto per coloro che non sono nati in territorio siciliano, la "càlia" sono i ceci tostati e la "simenza" invece i semi della zucca, entrambi consumati durante le feste oppure in compagnia di amici e parenti, ma anche guardando un film o la partita della squadra del cuore, in sostanza una sorta di antico e sicilianissimo "pop corn". Si può pertanto immaginare quanto sia difficile mettere insieme questi due popolani ingredienti e fargli addirittura aprire una cena di alta cucina, ma per Max ciò non è stato un grosso problema poichè con la farina di ceci ha preparato un impasto che tramite il forno ha ridotto in sfoglia e cosparso con semi di zucca, di girasole e polvere di olive nere. L'effetto è stato grandioso perchè la croccantezza e i sapori, antichi e rustici al tempo stesso, hanno catturato con semplicità e forza il mio palato, non vi racconterò quanti bis ho fatto! Ciò che invece non mi è piaciuto è il nome, forse lo Chef Davide Oldani lo avrebbe chiamato "Càlia Pop", perchè non condividerne l'idea? D'altronde anche la presentazione su un blocchetto di pasta di sale di colore giallo fa pop.
Amuse-bouche
La portata comprendeva il Bacio di dama salato, costituito da una pasta sablée al parmigiano farcita con una crema di burro e acciughe, la bruschettina, preparata con pomodoro confit, e infine la Bavarese di pecorino, con olive nere, spuma di patate e barbabietole decorato da semisfera di ribes. Tanti bocconcini, ognuno con una sua personalità, che sono serviti a introdurre le successive e ben più importanti portate.
Panzanella
Tommaso Rizzuto qualche ora prima mi aveva giusto raccontato la volontà di creare un piatto che comprendesse le sette varietà di pomodoro che si coltivano nell'orto di circa 6.000 mq della Masseria Susafa, attualmente però solo cinque trovano posto nella panzanella di Max, esse sono: camone verde, ciliegino, datterino, cuore di bue, ramato e riccio (corleonese), rigorosamente impiegati a crudo e conditi con una marinata di cipolle crude, sale pepe, basilico e origano sottovuoto per favorire l'osmosi, poi frullati e filtrati. Un disco di pane Tumminia confermava il nome del piatto, ma erano le tre sfere a incuriosirmi e a solleticare il mio palato in quanto preparate con un'impasto a base di erborinato di capra e poi fritte. Il profumo del pomodoro era quasi invadente, ma sicuramente di grande stimolo per l'appetito, è infatti riuscito facilmente a solleticare il mio, in verità in questi casi non è molto difficile, obiettivo principale che dovrebbe avere ogni portata classificata nella categoria degli antipasti. Le sfere invece erano molto equilibrate, senza il fastidioso sapore "ircino" tipico dei formaggi di capra, a maggior ragione trattandosi dell'inserimento di un erborinato, inequivocabile segno che non solo l'animale è stato alimentato in modo giusto, ma anche che chi lo ha impiegato nel piatto ben sa il fatto suo. Anche in questo caso, nuovo nome da adottare: "Panzanella rossa" è al contempo più indicativo e descrittivo.
Uovo biologico
Con quest'altro antipasto, Max ha cominciato a sfoderare le sue migliori tecniche di cucina, perchè cuocere un uovo di gallina a bassa temperatura non è solo una gran figata, ma permette anche di poterne gestire le consistenze e dare al risultato finale effetti particolari. Infatti, grazie ad una precisa combinazione di temperatura a 65 gradi e tempo di cottura ho potuto assaporare il tuorlo denso, quindi ancora liquido, insieme all'albume budinoso, un grande effetto senza però il fastidioso odore, più o meno sulfureo, che esso emana, evidentemente impedito dalla cottura adottata. Il tutto era stato accompagnato da una spuma di patate e decorato con schizzi di fonduta al Piacentinu Ennese, granella di nocciole, polvere di olive nere e scorza di limone. La presentazione a schizzi adottata mi ha immancabilmente ricordato un celebre antipasto di Gualtiero Marchesi. Continuando nella mia carrellata dei nuovi nomi, qui è impossibile non parafrasare il già celebre di Colombo che diventa "L'uovo di Susafa". Chi volesse approfondire l'uovo e le sue tecniche di cottura può consultare le Pillole di uovo 1 e le Pillole di uovo 2, scritti dal "mio amico chimico" Giorgio Nasillo.
Prosciutto di agnello
Le fettine servite non erano di vero prosciutto, ma il colore rosa di esse sicuramente lo ricordava. Anche in questo caso la chiave di lettura del piatto era costituita dalla tipologia di cottura, effettuata sottovuoto a 62 gradi. Il piatto, oltre all'agnello, prevedeva solo un condimento a base di olio di cenere, preparato sempre da Max con una lunga procedura che coinvolge numerosi ingredienti come ad esempio: semi di vari natura, cipolla, salvia, rosmarino, bucce di melanzana. In definitiva, posso affermare che questo agnello di origine locale è stato trattato bene in vita e forse anche meglio da morto! (Mi perdonino gli animalisti).
Spaghetti con porri e cipolle bruciate
Com'è mia abitudine fare di solito in caso di recensione, ho chiesto a Max che marca di pasta utilizzasse in cucina, ma mi ha guardato stranito come se non capisse, poi ci siamo chiariti meglio, in effetti alla Masseria Susafa la pasta non viene acquistata se non a volte per i banchetti, perchè essa viene preparata fresca in cucina, in questo caso con una particolarissima ricetta, acquisita nel corso degli anni dal nostro chef, a base di farina doppio zero e rimacino con un alto contenuto di tuorli, senza impiegare albumi. Quello che mi ha stupito di questo piatto, è stata la forza del condimento a base di porri, tipicamente delicati, ma che questa volta sono usciti fuori con tanta sostanza, ulteriormente rafforzata dalla decorazione a base di polvere di cipolla e dall'immancabile pecorino stagionato. Sicuramente un piatto che Filippo La Mantia, a dispetto delle sue origini e legami siciliani, non potrebbe non solo realizzare, ma anche concepire, nemico com'è di aglio e cipolla!
La cacciagione
Purtroppo la vera cacciagione non esiste quasi più, almeno alle nostre latitudini, Max si è infatti avvalso di una selezione di carni, sicuramente ben allevate a giudicare dal sapore, scegliendo per questo piatto il coniglio e la coscetta di quaglia, ovviamente applicando le solite basse temperature sottovuoto, infatti tutto era stato cotto a 68 gradi, ma ovviamente con tempi diversi dettati dalle dimensioni e dalle diverse tipologie di carne. Inoltre, il coniglio era stato "bardato" con una pancetta di Suino Nero dei Nebrodi e completato da una farcitura al pistacchio, mentre la coscettina di quaglia aveva subìto anche una frittura che ne ha esaltato le caratteristiche, chi di noi non apprezza il pollo fritto? Il coniglio era quindi cremoso e la quaglia croccante, un bell'accoppiamento di consistenze e sapori insospettabili, mentre la riduzione di mirtilli forniva quel giusto contrasto dolce-salato indispensabile per risvegliare i sensi ad ogni nuovo boccone. Le carni erano infine abbracciate da un bicolore di zucchine appena scottate in acqua bollente, rigorosamente provenienti dall'orto di Susafa. Come nuovo nome del piatto, in questo caso il volatile abbinato e le consistenze realizzate mi suggeriscono: "Il volo del coniglio".
Lingotto di maialino
Questo è un piatto di Max Ballarò molto complesso che avevo già assaggiato, ma che ho avuto la possibilità di approfondire al Susafa. In sostanza esso è composto da parallelepipedo ritagliato da una terrina di "porchetta" con incollata sopra una sottile fettina di croccante cotenna. La lavorazione infatti inizia dal maialino intero che una volta pulito e sezionato finisce in forno, guarda caso sottovuoto a bassa temperatura a 67 gradi, insieme a erbe e aromi vari. Poi segue la fase della spolpatura e la costituzione della terrina con applicazione della cotica, quindi in totale si impiegano circa tre giorni di lavoro per preparare una "porchetta d'autore" che andrà poi a impreziosire il tutto, forse da ciò e dalla doratura della cotica deriva il nome "lingotto", qui il nome del piatto è azzeccatissimo! Accanto al maialino faceva bella mostra anche una quenelle di purè di patate e sedano rapa al pecorino e pesto di basilico, ma la parte che per forza di sapore gareggiava con il lingotto era sicuramente costituito dalla cipolla rossa in agrodolce, in questo caso prima cotta in una fusione di burro e zucchero, quindi bagnata con aceto e vino Nero d'Avola in ben tre fasi, i cui step, nonostante la loro brevità, ricordano comunque il processo della canditura. La particolare forza gustativa conferita dall'aceto che ho riscontrato potrebbe suggerire un eccesso in tal senso, ma io sono del parere che se di agrodolce si parla, agrodolce deve essere, altrimenti si scade nella mera presa in giro! Anche in questo caso il contrasto dolce-salato è un classico a cui Max non si è sottratto, impiegando una riduzione di miele con cannella, anice stellato, ginepro e chiodo di garofano di cui presto, tra un boccone e l'altro, ho sentito la mancanza.
Dolce percorso
Il "percorso" del dessert di Max Ballarò iniziava da destra verso sinistra, in senso antiorario per meglio dirla, accompagnando il commensale lungo una strada con sapori e consistenze diverse. Il primo passo era stato riservato alla croccantezza, realizzato di solito in questi dessert al piatto in modo sicuramente più semplice, ma che invece Max ha voluto complicare utilizzando un doppio Macaron farcito con ganache ai gelsi neri. L'impasto di questi dolcetti è ad alto contenuto di uova, lontano cugino del savoiardo, ma che da preparare sono alquanto complicati a causa del loro aspetto esteriore, le semisfere risultanti infatti devono essere tutte assolutamente uguali. Dopo aver visto anche i Macarons "non venuti bene", posso affermare che Max ha dimostrato una manualità da fare invidia a molti pasticceri, presto spiegata da una sua certa esperienza condotta in una cucina francese. Dopo la croccantezza è arrivato il momento della suadente morbidezza che solo un cremoso al gianduia può esprimere, in questo caso decorato da un'altra consistenza, però scioglievole, costituita da una bacchetta di meringa italiana colorata di giallo. Un separé di cialda al miele di farina e burro ha infine introdotto il momento riservato alla pulizia del palato, intelligentemente affidato all'effetto succoso che ha sprigionato il piccolo gelo di mandarino decorato con un bottoncino di arancia candita che ha chiuso il dolce percorso. Dappertutto ci si imbatteva anche con i frutti di bosco, la spugna al pistacchio e la polvere di lamponi, ottenendo così un interessante effetto "percorso ad ostacoli", nome alternativo da valutare per questo piatto. In definitiva, Max Ballarò è riuscito a movimentare un classico dei dessert al piatto, nobilitandolo soprattutto con la precisione che solo un pasticcere professionista può avere, coccolando il commensale anche alla fine del pasto, conclusione per niente scontata anche in un pasto con portate di alta cucina.
Petit four
In perfetta linea con l'esperienza francese che ha caratterizzato la carriera di Max, a fine pasto sono arrivati i "petit four", che tradotto in italiano potremmo definire come "piccolo forno" in riferimento alla dimensione dei piccoli dolcetti serviti in quest'occasione. Essi erano composti da frollini al cocco, al pistacchio, alla nocciola, bauletti con ganache al cioccolato bianco e pasta al pistacchio e rocher con ganache al gianduia ricoperta di nocciole tostate, tutto rigorosamente preparati con largo impiego di grassi di alta qualità come il burro per pasticceria e il burro di cacao.
Le pietre di Susafa
Insieme ai petit four, sono arrivate anche le "pietre di Susafa"! Esse in verità non erano vere pietre, ma piccoli confetti preparati con delle mandorle pelate che mi sono sembrate crude, io le avrei tostate un po' al fine di far risaltare il sapore e la sua croccantezza, poi ricoperte di cioccolato al latte e infine passate nello zucchero al velo per simulare l'effetto pietra. Nella presentazione le pietre vere però c'erano, ma servivano solo a supportare quelle dolci e per fortuna mi sono state indicate durante il servizio!
Artusi e Ballarò con la Guida alle birre di SiciliaCome in ogni ristorante di una certa categoria anche al Susafa si preparano grissini e pane. I grissini sono appannaggio di Max, e vengono preparati con un'impasto che consente grande friabilità, in questo caso agevolata dall'uso di olio extra vergine e strutto. Prodotto molto diverso è invece il pane, seguito dalla Sig.ra Maria Siragusa e offerto in due versioni: quella preparata con farina di rimacino e quella con farina di Tumminia molita a pietra, proveniente dai campi della masseria stessa. Esso viene sottoposto a circa 24 ore di maturazione in frigorifero con pochissimi grammi di lievito così come ci ha abituato questa tecnica del freddo, e poi a lunga lievitazione esattamente come sempre più spesso si fa per gli impasti per pizza. Il risultato è ovviamente eccellente e permette di ricavare il massimo in scioglievolezza e digeribilità del prodotto.
Il ristorante è aperto anche all'esterno e per adesso offre solo il menu che ho assaggiato e qui recensito al costo di soli 50 Euro, esso è stato studiato in funzione dell'utilizzo dei prodotti dell'orto proprio, ma alle volte viene integrato con dei piatti a base di pesce, purtroppo non sempre disponibili, arrivando così a 65 Euro, inoltre è in fase di studio anche l'abbinamento con i vini, grazie all'aggiunta di soli 15 Euro, non pronti nel periodo del mio soggiorno. Infine c'è da citare la sezione banchettistica, molto attiva e sempre a prezzi interessanti, considerando anche il tipo di struttura e i servizi che vengono offerti ai clienti, non è infatti infrequente il matrimonio con sposi che provengono dall'estero.
In conclusione, Max Ballarò ha dimostrato una predilezione per le cotture sottovuoto a bassa temperatura, alto gradimento per il pecorino siciliano e per la polvere di olive nere, ottime competenze nel settore della pasticceria, ma soprattutto una precisione e amore per il dettaglio da "pinzetta", in sostanza mi è sembrato di incontrare il classico pasticcere mancato che ha trovato posto in cucina! In una sola parola, tanta Francia sicilianizzata, quindi un giudizio ampiamente positivo da 4 "artusini", anche alla luce del prezzo particolarmente interessante che permette una vera full immersion di sensazioni in profumi e sapori del territorio circostante, ma al contempo anche nell'intera filosofia Susafa. Insomma, oggi La Masseria Susafa non sarà più autosufficiente come alcuni secoli fa, ma sicuramente in ambito turistico e nella ristorazione continua a saperlo fare.
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Addendum Susafa lo sa fare ancora
Inserito Giovedì 13 Settembre 2018 12:39
Aggiornato Giovedì 13 Settembre 2018 12:45
Purtroppo dal mese di Settembre 2018 lo Chef Max Ballarò non fa più parte dello staff della Masseria Susafa, pertanto la recensione del ristorante non è più attendibile. Rimane confermata la filosofia Susafa e le relative considerazioni da me esposte, nonchè le professionalità dimostrate da Max Ballarò nella conduzione della cucina.
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