Lo Chef Franco Agliolo con Angelo NapoliNoto con mio grande piacere che da un po' di tempo, le nuove tecniche di cucina, da me sempre promosse e riconducibili prevalentemente alle cotture a bassa temperatura e/o sottovuoto, si stanno sempre di più diffondendo, ho addirittura riscontrato una maggiore sensibilità ad introdurle in provincia, piuttosto che nei capoluoghi, come ad esempio Palermo. Pertanto, lo scorso 16 Agosto 2014, trovandomi a Sant'Agata di Militello per la mia attività enogastronomica non potevo mancare di recensire un locale ed uno chef che mi avevano incuriosito molto per la presenza di tali tecniche di cottura. In Contrada Astasi, lungo la strada che da Sant'Agata di Militello porta ad Alcara Li Fusi, si trova il Ristorante Ambrosia, che come sappiamo era il cibo degli Dei, ma in questo caso riportato a più terrene elaborazioni dalle personalissime idee del suo chef e patron Franco Agliolo.
Franco probabilmente ha sempre avuto la passione per la cucina, ma se n'è accorto solo all'età di 20 anni, quando decise di lasciare i suoi studi di musica per iniziare a frequentare l'Istituto Alberghiero di Cefalù. I suoi primi passi in cucina li ha quindi condotti durante le cosiddette "stagioni", trascorse negli alberghi di Rimini, una volta diplomato si è subito trasferito in Australia, poi di nuovo in Italia e poi a Capo Verde in Sud Africa. Nel 2003, invece si troverà Negli Stati Uniti, nel ristorante di Gino Angelini a Los Angeles, prima come stagista e poi per più di un anno come dipendente. Però, il richiamo di Alcara Li Fusi, sua terra natìa, è forte e dopo aver lavorato in alcuni ristoranti della sua zona, circa un anno fa decide di mettersi in proprio per riuscire finalmente ad esprimersi in cucina liberamente, senza condizionamenti di sorta.
Franco Agliolo nei suoi piatti, non applica tecniche di trasformazione complicate, tranne che come già detto per le particolari cotture utilizzate in quasi tutte le carni pertanto, le materie prime, non sono mai stravolte, piuttosto egli gioca molto con gli abbinamenti tra sapori, proponendo al cliente una ricetta della tradizione locale o italiana in generale, vista però da un'angolatura che riassume il suo pensiero di quel particolare momento. Due persone del settore enogastronomico hanno condiviso con me l'esperienza costituita dal menu degustazione del Ristorante Ambrosia, il pluripremiato Chef Gioacchino Sensale, membro da più di un decennio del Culinary Team Palermo, e Nenè Blandi, rappresentante locale della Cantina Rapitalà che ha allietato il pasto con i suoi vini, ma soprattutto con la sua presenza.
Insalatina di farro con polvere di limone e aceto balsamico di Modena
Un appassionato cultore della palermitanissima cuccia come me, sfida tutti voi a cuocere dei cereali in chicchi ottenendo il risultato di morbidezza interna ed esterna della cariosside senza spappolamenti o irregolarità di consistenza. Invece il farro di Franco era perfetto, morbido nella sua interezza, a sua detta semplicemente bollito, cosa a cui non credo, tra l'altro condito in modo perfettamente bilanciato con la polvere di limone, frammenti di fagiolini all'aceto, pomodorini confit e delle gocce di Aceto Balsamico di Modena prodotto con il metodo tradizionale, anche se all'esterno del relativo consorzio di tutela.
Antipastini vari
Subito dopo l'entrè di farro sono arrivati una serie di sei assaggini rustici che comprendevano i due ingredienti del piatto precedente costituiti da pomodorino confit e fagiolini all'aceto, con in più una caponatina seguita da ricottina di pecora e capra, mostarda di pere e pecorino al pepe. Tutti gli ingredienti erano stati preparati con cura da Franco, ovviamente tranne il pecorino, finissimo e gustoso al palato, e la ricottina che purtroppo presentava una serie di grumi, insoliti a sentir lo chef, che avevano creato dei canali di stazionamento al siero con un risultato per niente piacevole.
Rinisca vugghiuta
La rinisca è una giovane pecora che non ha ancora partorito, piatto tradizionale che in questo caso è stato migliorato e condito con della semplice julienne di carote e delle fettine di pera coscia inserite da Franco a causa della mancanza dei fichi utilizzati di solito. Nella tradizione, per fare questo piatto vengono utilizzate delle parti di scarto, ma lo chef ha preferito la migliore, una coscia cotta sottovuoto ed a bassa temperatura, ciò a consentito di far risaltare tutto il buono della carne, conducendo verso la raffinatezza un piatto nato rustico.
Salumi vari
Le conferme servono a rafforzare le tesi e quando Franco ha tirato fuori la pancetta ed il salame tipo felino ne ho avuta un'altra. Contrariamente a quanto si possa pensare, entrambi i salumi non erano stati prodotti con carni di suino nero, seppur abbondanti nella zona, bensì con del comune maiale rosa, ma il risultato finale era del tutto simile, soprattutto sul fronte della scioglievolezza dei grassi, bisogna ricordare che ciò è facilitato dalle grandi quantità di acidi grassi monoinsaturi ovvero di acido oleico, esattamente uguale a quello presente nell'olio extravergine di oliva, che controbilancia gli acidi grassi saturi, responsabili dell'accumulo del colesterolo. Nel Suino Nero dei Nebrodi certificato ciò dovrebbe essere la regola, ma quando si incontra la stessa peculiarità in un suino rosa può voler dire solo che esso è stato alimentato con alimentazione naturale e senza l'uso di mangimi. Considerando che le carni utilizzate per la preparazione artigianale dei due salumi provenivano da Santo Morgano, macellaio di Militello Rosmarino, tra l'altro fornitore di tutte le altre carni del Ristorante Ambrosia, se ne può dedurre la grande conoscenza degli allevatori locali e la cura impiegata nella scelta degli animali in vendita nella sua bottega, nella quale prima o poi dovrò fare una capatina.
Stinco di vitello con crema di parmigiano e pomodorino confit
Anche in questo caso la cottura della carne sottovuoto alla temperatura di 70 gradi, leggermente affumicata dal passaggio in padella, ha fatto la differenza. Anche il formaggio "straniero" utilizzato per la crema mi ha trovato d'accordo, creando due tipi di scioglievolezza, quello della carne, le cui cartilagini ammorbidivano il boccone, e quella della salsa di accompagnamento. Infine, il contraltare dolce del pomodorino ha impreziosito il boccone, evidenziando la porzione da nouvelle cuisine della portata.
Rollatina di coniglio con pavet di patate e porri e gelatina d'aceto di vino
Stavolta le carni erano state preparate al forno con cottura tradizionale, nella rivisitazione del piatto italiano di coniglio all'aceto. Su un croccante pavet di patate e porri era stato adagiata una fettina di coniglio rollata solo con maggiorana e sormontata da una sottile fetta di gelatina all'aceto di vino bianco, evidentemente gelatinizzata grazie all'agar agar, un addensante naturale tratto da un'alga che resiste fino alle temperatura di circa 100 gradi, onde evitare il suo scioglimento una volta a contatto con l'ingrediente caldo. Il gusto poteva suscitare delle critiche a causa della forte presenza dell'aceto, ma comunque doveva replicare la forza di un piatto tradizionale italiano, però con una flessibilità in più, nel caso in questione era infatti possibile dosare la gelatina o toglierla completamente, in quanto essa era l'unica apportatrice di aceto, operazione non fattibile con il corrispondente piatto tradizionale. Comunque, per me, giudizio ampiamente positivo, con gelatina compresa!
Lingua di vitello con quareddi
Con questo piatto siamo di botto tornati sul territorio, dove è usanza della popolazione mangiare la lingua del vitello, ma come nel caso della pecora, nobilitata da un'insolita cottura sottovuoto e a bassa temperatura che ne ha modificato la texture interna rendendola quasi cartilaginosa, morbida, leggermente gommosa, al leggero gusto di "vinu cottu" di fichidindia, una sorta di riduzione operata col succo del frutto che la condiva. Essa era accompagnata da una verdura spontanea, conosciuta con diversi nomi in base alla zona di raccolta e che per gli autoctoni del luogo erano i "quareddi", azzeccatissimo abbinamento con la lingua leggermente dolciastra che veniva compensato dal delicato amarostico del vegetale.
Punta di petto affumicata con fumo di brace e pesca arrostita
Qui, bisogna dirlo, lo chef ha fatto un po' di scena, ma per un buon fine. Usare il fumo per affuminare o anche solo per insaporire come nel nostro caso, è sempre pericoloso, perchè basta sbagliare la concentrazione e/o il tempo di esposizione degli alimenti per compiere delle nefandezze gastronomiche enormi. Per fortuna stavolta i dosaggi erano adeguati e l'effetto fumoso che si è sprigionato all'apertura del coperchio che chiudeva il piatto è stato di effetto e molto positivo per il palato. Anche la punta di petto aveva subito la stessa cottura delle altre carni, pertanto morbidezza e gusto parlavano da soli, ma stavolta il contro altare dolce della frutta era presente con decisione, anche se smorzato dal passaggio in padella della fettina di pesca gialla che accompagnava la carne. Il boccone, comunque, ne giovava parecchio, rendendo tutto più sapido ed invitante.
Anguria marinata
Devo ammettere che mai mi sarei aspettato di trovare la tecnica della "sgasatura" applicata in un ristorante di provincia, ed invece eccola qua insieme allo zenzero ed alla citronella utilizzata per "marinare" una fetta di rossa anguria! La tecnica della "sgasatura" consiste nel porre sottovuot,o anche per pochi minuti, un alimento opportunamente condito, meglio se poroso, e poi di riportarlo alla pressione normale. Durante il sottovuoto viene aspirata l'aria anche all'interno dell'eventuale porosità lasciando dei vuoti, immediatamente ricolmati dai condimenti, sotto forma di aroma piuttosto che di liquidi, durante il processo inverso che lo riporterà a pressione normale. Questa tecnica, molto semplice da realizzare persino a casa, anche a me è capitato di utilizzarla, addirittura inconsapevolmente, con la mia macchinetta casalinga per il sottovuoto, è stata parecchio promossa da Fabio Tacchella, ex coatch della Nazionale Italiana Cuochi ed inventore della "carta fata". Il risultato ottenuto da Franco è stato straordinario, bisogna dire che ciò è stato possibile anche grazie alla precisa dosatura di erbe e spezie utilizzate, perchè è facile, soprattutto usando lo zenzero, stravolgere e monopolizzare un alimento condito con esso.
Raramente mi capita di recensire un locale dove si prepara anche il pane, di solito si preferisce acquistarlo all'esterno e considerando i risultati ottenuti in giro forse è anche meglio che sia così. La cosa fastidiosa più comune che mi capita è trovare una mollica che odora in modo vistoso di lievito di birra, quando ho assaggiato i panini di Franco ho però avuto una piacevole sorpresa. Entrambe le tipologie, con farina bianca e con farina di rimacino, non presentavano il problema del lievito ed erano particolarmente leggeri da masticare. Anche i grissini erano molto buoni e dal gusto insolito, croccantissimi, profumati e gustosi grazie all'introduzione dei semi di sesamo tostati all'interno dell'impasto. Parlando con lo chef ho capito che guarda caso egli pratica una sorta di maturazione dell'impasto in frigorifero, di relativa breve durata, circa 24 ore utilizzando una farina con W 280, sufficiente per ridurre al minimo il lievito aggiunto e per ottenere dei risultati non comuni per quanto riguarda la leggerezza dell'impasto. Difficilissimo trovare in uno chef anche queste cognizioni, tecniche dell'autolisi e uso del polish, appannaggio di pochi pizzaioli e panificatori.
I vini di Nenè Blandi, venditore e appassionato egli stesso di un'azienda, Rapitalà, che ha segnato la storia del vino in bottiglia siciliano, oggi sotto l'ala della GIV, Gruppo Italiani Vini, hanno accompagnato degnamente il pasto vedendo sfilare in ordine di stappatura, le note delicate del Prosecco DOCG Cantina Bolla, i profumi decisi dei fiori bianchi ed erbe balsamiche del Bianco d'Alcamo Classico Vigna Casalj di Rapitalà, la freschezza del Pinot Nero/Nero d'Avola Nuhar di Rapitalà ed infine le note morbide di barrique mai invadenti dell'Alto Nero, un Nero d'Avola in purezza ancora di Rapitalà.
Vista sul mare dal Risorante AmbrosiaAl Ristorante Ambrosia è possibile assaggiare un pasto completo o un menu degustazione con soli 25-30 euro, un prezzo anticrisi per dei piatti di alta cucina che costituiscono un piacevole percorso gustativo tra modernità e tradizione. L'ambiente è arredato in modo moderno con elementi che comunque richiamano il luogo rustico dove esso è situato. La veduta che si affaccia sul mare di Sant'Agata rende magico il patio dove in estate è possibile mangiare.
L'esperienza di circa un anno di ristorazione raccontatami da Franco, in un territorio immediatamente circostante l'Ambrosia che non ha mai avuto grandi contatti con l'alta cucina, mi ha immancabilmente ricordato l'esperienza di Giuseppe Sparacello, pasticcere in quel di Castronovo. Agliolo come Sparacello si è ritrovato a dover far crescere poco alla volta i propri clienti, facendogli apprezzare gli stessi ingredienti ai quali loro erano abituati, ma presentandoli cotti e arrangiati in modo ben diverso. Poco alla volta Franco sta raccogliendo i frutti di questo lavoro, avendo ormai fidelizzato anche una parte di quei clienti che chiedevano regolarmente maccheroni e castrato alla brace!
Il prezioso insegnamento ricevuto dal Maestro Maitre Carlo Hassan, che mi fregio sempre di ricordare, è quello che lega due importanti professioni all'interno della ristorazione: "non c'è cucina senza sala e non c'è sala senza cucina", ed in questo caso Franco è stato fortunato ad incontrare Angelo Napoli, giovanissimo cameriere di Alcara Li Fusi che si è subito compenetrato con il lavoro della cucina, egli infatti conosce i piatti e se la cava molto bene in sala, soprattutto nei momenti in cui lo chef non riesce a trovare il tempo di uscire in sala per illustrare il proprio lavoro.
Al Ristorante Ambrosia, però, non è facile trovare il pesce, se non prenotandolo appositamente in anticipo, difficoltà di reperimento locale e organizzazione della cucina impediscono a Franco Agliolo di proporlo giornalmente, ma prima o poi, questo importante ingrediente del territorio comparirà nel menu, andando a colmare la grave lacuna. Se all'Ambrosia ci fosse anche questo importante rappresentante del territorio il ristorante potrebbe diventare l'anello mancante di congiunzione tra il mare di Sant'Agata di Militello ed i monti di Alcara Li Fusi, un collegamento sia gastronomico che geografico, facendosi tramite di un territorio turisticamente completo. In compenso, sulla carta dei vini, oltre alle solite etichette commerciali, ho notato la Tenuta Gatti, una delle mie predilette, ma anche un paio di Baladin, le birre artigianali di Teo Musso, secondo me da integrare con qualche etichetta del territorio dei due birrifici locali Irias ed Epica. I piatti del Ristorante Ambrosia corrono però un grande pericolo di oblio, infatti lo chef si stanca facilmente del suo operato e anche se molto richiesti a volte si rifiuta di rifarli. Datemi una mano a fargli cambiare idea chiedendo le sue migliori esecuzioni, in modo da salvaguardare e riproporre alcune ricette per la gioia di tutti i suoi clienti, se Franco poi vorrà spaziare su nuovi orizzonti che lo faccia pure, ma non a spese del suo più riuscito passato!
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