Peppe Sansone e Franco SciortinoFortunatamente, finora, non ho mai avuto la necessità di accostarmi al mondo degli alimenti per celiachi, non frequento nessuno che soffre di questa grave intolleranza, tuttavia so bene che essa è in continua espansione.
Ma cos'è la celiachia? Ci viene in aiuto Wikipedia con la seguente definizione.
"La celiachia (dal greco koilía, cavità, ventre) è un'intolleranza permanente alla gliadina. La gliadina è la componente alcool-solubile del glutine, un insieme di proteine contenute nel frumento, nell'orzo, nella segale, nel farro, nel kamut. L'avena, però, sembra essere tollerata in piccole quantità dalla maggior parte dei soggetti affetti. Pertanto, tutti gli alimenti derivati dai suddetti cereali o contenenti glutine in seguito a contaminazione, devono essere considerati tossici per i pazienti celiaci. L'intolleranza al glutine causa gravi lesioni alla mucosa dell'intestino tenue, che regrediscono eliminando il glutine dalla dieta. La reversibilità della patologia è strettamente legata alla non assunzione da parte del soggetto celiaco di alimenti contenenti glutine, o comunque da esso contaminati. La celiachia non guarisce: il soggetto celiaco rimarrà tale per tutta la sua vita, l'unica cura consiste nell'adozione di una dieta rigorosamente priva di glutine."
Sempre da Wikipedia, si può riscontrare come oggi la celiachia sia particolarmente diffusa, arrivando, in Italia, ad un soggetto colpito ogni 150 circa e quindi come essa stia sempre di più diventando una malattia sociale, le cui cause sono tutt'oggi sconosciute. Come ogni intolleranza anche la celiachia non è da sottovalutare, essa può favorire l'insorgere di tumori al colon e, a causa di un eventuale shock anafilattico, portare anche al decesso dell'individuo sensibile, ecco perchè i locali ed i cibi per celiaci devono essere assolutamente indenni da glutine.
L'unica volta che mi sono trovato di fronte ad un cibo per celiaci, una pasta preparata con farina di riso, ho avuto una cocente delusione: a nulla è valso l'apporto del condimento, un fagiolo borlotto appena raccolto che purtroppo ha lasciato intatta la sgradevolezza della preparazione. Si può immaginare, quindi, il mio scetticismo di fronte ad un locale per celiaci dove tutti i piatti sono stati pensati per essi, e dove si mangia pure la pizza... un pizza senza glutine! Ciò che però mi ha attratto è stato il progetto di sperimentazione che sta seguendo il buon caro Peppe Sansone, istruttore palermitano della PIA, Pizza Italian Academy. Grazie alla disponibilità di Franco Sciortino, titolare del Divini Restaurant di via Altofonte, locale appunto dedicato ai celiaci, Peppe sta testando alcune miscele di farine e lievitazioni naturali che arrivano tranquillamente anche fino a tre giorni e più. Di fronte a tali prospettive, lo scorso 28 Settembre 2012 ho partecipato, di buon grado, ad una degustazione di tre pizze molto particolari e diverse dal solito, anche senza glutine!
La prima ad essere sfornata è stata una pizza attualmente ancora in fase di evoluzione. Essa era stata preparata con tre farine: farro, grano saraceno, russello ed una doppio zero, di cui, alcune di queste, macinate a pietra ed in biologico. L'obiettivo da raggiungere è quello di ottenere una pizza completamente bio, con delle caratteristiche particolari di profumo e leggerezza. Ovviamente, in questo caso, sono state adottate tecniche di lievitazione naturale e grande cura nel blend di farine. ll risultato finale è stato particolarmente soddisfacente. Condita semplicemente con pomodoro e mozzarella di bufala non troppo caratterizzante, ha subito messo in mostra le caratteristiche della pasta, ed esaminando il bordo scondito, ho riscontrato un presente profumo di castagne, un quasi impercettibile sentore acidulo, per poi sentire passando al palato, un piacevole sapore di grano e crusca, ovviamente quasi coperto dalle aromaticità conferite dalla cottura in forno.
Il momento difficile è arrivato con la seconda pizza: quella per celiaci! Devo però ammettere che l'aspetto meritava parecchio e ciò mi ha sicuramente invogliato all'assaggio. Questa è una pizza che, a differenza della precedente, ancora in fase di studio, viene regolarmente servita nel locale di Franco Sciortino, anche se in versione più sottile rispetto a quella che ho assaggiato io. La consistenza e la croccantezza di alcune parti non condite era sorprendente come anche il sapore, a tratti si ripresentava un leggero gusto di farina di grano, anche se essa, ovviamente, non poteva certamente essere presente. L'impasto, studiato da Franco stesso, era infatti costituito da farina di riso e grano saraceno, quest'ultimo, sicuramente, era quello che apportava i profumi maggiori. Affermare che l'ho gradita quanto la prima pizza sarebbe poco onesto, ma posso garantire che l'ho mangiata con gusto e non ho minimamente rimpianto le troppe, orrende, immangiabili, pizze "normali" che si possono trovare nelle varie pizzerie della città e anche oltre. Potrei tranquillamente definirla come una pizza diversamente buona.
La terza pizza, infine, sembra che sia stata ingiustamente condannata ad essere sostituita, non so con cosa, ma confido nel cappello a cilindro di Peppe. La sua pasta è attualmente la base delle pizze per non celiachi del locale; essa è stata realizzata con farina di tumminia ed un'integrale di grano tenero, entrambe macinate a pietra, e con l'aggiunta di una farina forte doppio zero. Anche in questo caso il buon sapore della pasta cotta e ben lievitata non poteva non catturarmi, coi suoi sentori simili a quelli della prima degustazione.
Lievito madreCon una risorsa come quella di Peppe Sansone, al Divini Restaurant è facile trovare lunghe lievitazioni con lievito madre o al massimo con lievito di birra, ma con percentuali infinitesimali, da 0,5 a 0,8 grammi per chilo di farina, ottenendo così paste perfette e facilmente digeribili, senza l'aggiunta di additivi o di altri ingredienti poco ortodossi. Purtroppo, pochissimi operatori del settore conoscono la necessità di far maturare, o meglio fermentare, l'impasto e poi di farlo lievitare. E' un gioco lungo, i cui partecipanti, enzimi e batteri, lavorano ognuno per conto proprio, senza sapere di far parte entrambe di un disegno molto più grande: la lievitazione naturale. Coloro che riescono ad impadronisti di tali tecniche, e solo essi, possono ambire a realizzare dei lievitati degni di tale nome e deliziare così i palati, ma soprattutto gli stomaci, degli eventuali commensali, infatti, solo una corretta lievitazione, completamente svolta e ben eseguita, può garantire quelle caratteristiche organolettiche, di consistenza e soprattutto di digeribilità, che un buon lievitato dovrebbe avere. Meditate o voi che leggete, la prossima volta che deciderete di andare in pizzeria, osate chiedere e informarvi su come vengono lievitati gli impasti e bocciate senza appello coloro che eseguono lievitazioni di sole 2 ore e mezzo, pretendere ciò non è un vezzo, bensì una necessità per il vostro stomaco.
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