Chiedono dunque ospitalità a “La Piana delle Bontà”, noto punto di ristorazione del luogo, e grazie alla pazienza di Gianfranco Sampino, il pasticcere, nonché a quella di Gino e Valentina, i due validissimi collaboratori, i nostri eroi si prodigano per rubacchiare qua e là i segreti di una cialda che, non me ne vogliano i palermitani, è davvero speciale e a mio modestissimo parere forse l’unica che possa rendere per davvero il cannolo una torcia olimpica della sicilianità, u “scettru di ogni re e virga di Mosè”, come lo definì un poeta palermitano del XVII secolo. Una cialda talmente leggera e friabile, da sostenere la ricotta facendone godere a pieno del sapore in maniera assolutamente non invadente, essendo priva del retrogusto “fumè” della sorella del capoluogo. Sorpresi dalla genuina disponibilità del personale dell’azienda che li ospitava, per nulla restio a trasmettere il proprio sapere, i tre si immergono in un intenso viaggio durato una manciata di ore, pronti a sporcarsi le mani. Leggenda vuole che le suore di un convento, per alcuni a Palermo, per altri a Caltanissetta, prese dalla noia decisero di fare uno scherzo per Carnevale, e crearono delle cialde che imitavano i rubinetti delle fontane, ossia i “cannoli”. Solo che dal cannolo non usciva acqua, bensì una crema di ricotta con gocce di cioccolato, o canditi o entrambi. Una ricotta che poteva essere più o meno setacciata attraverso un passino. Forse, molto più semplicemente il nome era dato dallo strumento che permetteva alla cialda di assumere quella forma durante la frittura: un pezzetto di canna, di legno, come le canne di linneiana memoria, per intenderci, quelle che crescono altissime lungo i fiumi o le zone acquitrinose. Per i più maliziosi, il cannolo voleva sublimare le insoddisfatte lascive voglie delle monache. In ogni caso, ogni provincia della Sicilia ha il “suo” cannolo, ed è, ovviamente, il cannolo migliore di tutti! Ma torniamo un momento ai nostri eroi, prodi studiosi venuti dal capoluogo siculo, che avevamo lasciato nelle mani del pasticciere Gianfranco, il quale, senza pietà alcuna, li mise subito all’opera, o “al firrio” che dir si voglia. Preparate le dovute quantità di farina, zucchero, strutto, aceto di vino e acqua (prima i grassi con gli zuccheri, poi si aggiungono i liquidi e infine la farina) si produce un impasto vagamente violaceo, elastico, quasi colloso, che va fatto riposare una notte intera, coperto, perché non si asciughi troppo specie nella stagione estiva. Dovesse accadere, è possibile riprenderlo con del rhum. Gianfranco, lo chef, ci suggerisce però di non utilizzare l’aceto, ma solo il vino nel caso in cui volessimo fare dei cannolicchi, il motivo è semplice: l’aceto è l’ingrediente responsabile delle bolle e una cialda molto piccola e con tante bolle difficilmente reggerebbe la crema!
Le losanghe, sistemate con cura una dopo l’altra, vengono spennellate di uovo, ma solo in corrispondenza del vertice di uno dei due angoli ottusi (quelli più grandi) così da renderlo appiccicoso e legare il vertice opposto del rombo di pasta arrotolato intorno al tubo di alluminio, perché poi durante la frittura non si apra. Lo strutto viene portato a una temperatura di 180°, e il cannolo lasciato prima a cuocere in superficie e poi immerso perché la forma si mantenga e la doratura sia omogenea. Alcuni preferiscono utilizzare olio o una miscela di strutto e olio, ma la conseguenza di un’operazione di questo tipo è un grasso che non mantiene la stessa temperatura in tutti i punti della friggitrice.
ATTENZIONE: l'attività di recensione è svolta a titolo completamente gratuito, la selezione delle aziende da recensire è effettuata tramite personale scoperta o anche su segnalazione di terzi e si pone l'obiettivo di far risaltare e promuovere coloro che si impegnano più di altri nell'offrire un prodotto alimentare genuino e/o salutare. Per salvaguardare questa indipendenza puoi contribuire seguendomi sui social o tramite Paypal. Valutazione CucinArtusi.it in "artusini":Schede e indirizzi utili:Tags: |