La Caponata La storia più diffusa sull'origine della caponata racconta che i nobili di un tempo amassero mangiare il pesce capone, cioè la lampuga, con una salsa agrodolce, fin qui nulla di nuovo, il pesce in questione, a causa della grassezza delle sue carni l'agrodolce, come si suol dire, se lo tira tutto! Scendendo però nella scala sociale di qualche epoca fa, si arriva ad un popolo che non è in grado di permettersi il pesce, in quanto troppo costoso, ma nel suo perenne tentativo di emulare i ricchi, prepara lo stesso condimento agrodolce e lo utilizza con la melanzana, ortaggio che evidentemente doveva essere abbondante e quindi a buon mercato. Questa è la versione ufficiale più accreditata sulla nascita della caponata, però, sorge l'incongruenza dello zucchero o del miele che in sua vece sicuramente veniva usato, altri alimenti costosi, ma indispensabili all'agrodolce, che fanno dubitare della loro disponibilità per le classi meno abbienti, almeno al pari del pesce capone, se non di più. Inoltre, mi si permetta una nota stagionale: il capone frequenta i nostri mari solo nel periodo autunnale, da settembre a massimo novembre, anche se oggi, coi moderni pescherecci, si riesce ad estendere questo periodo, di qualche mese, pratica anticamente non fattibile, inoltre in mancanza di serre, il pomodoro fresco, tra l'altro arrivato in Europa dopo il 1492, andava inesorabilmente da maggio a settembre e così le melanzane ed i peperoni da giugno a ottobre, troppi ortaggi non di stagione per avallare questa tesi. Inoltre, anticamente, i periodi stagionali degli ingredienti in questione dovevano essere ancora più ridotti e quindi meno sovrapponibili rispetto a quelli di oggi provenienti dall'agricoltura moderna. Pertanto, le incongruenze che si delineano per questa tesi del capone sostituito con le melanzane, sono troppe e ben documentabili. Difatti, per dipanare la matassa dell'origine della caponata, ci viene in aiuto Gaetano Basile, storico, giornalista e scrittore da me interpellato che ha risposto gentilmente alle mie domande grazie ai suoi approfonditi studi condotti in passato sull'argomento. Il Basile, com'è suo solito, parte da lontano e inizia fissando nell'antica Persia l'origine dell'agrodolce, addirittura ammantandolo di significati filosofici-religiosi relativi alla contrapposizione delle forze, sole-luna, bianco-nero e perchè no anche dolce-aspro. I persiani dell'epoca erano però conquistatori e viaggiatori, così un bel giorno, questa salsa agrodolce arrivò anche in Sicilia, d'altronde quello era un periodo che sull'isola arrivava di tutto! Questa salsa raggiunse in breve una certa diffusione tra il popolo ed i marinai, i primi la utilizzarono per condire delle insalate, mentre i secondi la usarono su diversi loro alimenti, ma anche su un biscotto duro e insipido definito "galletta", che in gergo comune era chiamato "cappone di galera". Da cappone a capponata e poi caponata il passo è stato breve, dice ancora il Basile, fissando quindi una sua prima origine a bordo della antiche navi chiamate appunto "galere". Sempre secondo il Basile, una seconda possibile origine è da ricercarsi nella cucina baronale di un tempo, quando si faceva largo uso di cacciagione e per conservare fagiani, lepri e... capponi si utilizzava una salsa in agrodolce che diede così vita alla "capponata". Fino alla citazione di un libro stampato a Messina nel 1759 però, non si parla ancora di melanzane, poichè in esso si definisce la caponata come un "piatto fatto di cose varie". Finalmente il Mortillaro, nel suo dizionario del 1868, citò pesce, melanzane e carciofi tra gli ingredienti del piatto chiamato caponata, siamo così arrivati agli ortaggi. Anche i Fu quindi dalla metà dell'Ottocento che la saracena melanzana, tanto bistrattata per il colore, la forma, ma soprattutto per il sapore amarognolo e per la sua fama di essere velenosa (mela insana), entrò a piè pari nella ricetta. Dopo aver ringraziato il Basile per il suo importante contributo storico, sarà meglio analizzare questa tanto discussa ricetta della caponata. La prima insospettabile cosa che non salta per niente all'occhio è che essa è un piatto vegetariano ed addirittura vegano, ebbene si, essendo composta solo da ingredienti vegetali, ma soprattutto senza derivati dal mondo animale, almeno nella sua versione "povera" senza pesce. Altra caratteristica, stavolta ineluttabile, è l'elevata variabilità della ricetta, ne sono state censite quasi 40, ma qualcuno dice che esiste una variante per ogni persona che la prepara, ed in effetti, se si pensa all'agrodolce ed a tutte le sue possibili sfumature solo cambiando il tipo di aceto, si può ben capire come possa spaziare il suo camaleontico aroma. Ovviamente, inutile disquisire sulla possibilità di aggiungere il pesce o variare gli ortaggi, o addirittura sulla loro cottura: fritti secondo tradizione o al forno nelle più moderne preparazioni. Inoltre, per le principali versioni provinciali, ci viene in aiuto Wikipedia, anche se in modo del tutto aleatorio. Infine, per quanto riguarda il temine "caponatina", il Basile lo preferisce poichè vezzeggiativo amoroso, mentre Wikipedia lo attribuisce alla prima produzione industriale del 1916 in cui si usò un piccolo contenitore.
Arrivati fin qui con tale dispiego di teorie e ricette, si può facilmente immaginare il grande interesse che la caponata ha suscitato e suscita negli animi di molti individui, uno di questi pensò bene di istituire persino un concorso. Nel nostro caso, fu Giancarlo Roversi, giornalista e scrittore, il quale, parlandone con Ignazio Billera, noto come il Capitano di Trapani Eventi, diede fuoco alle melanzane! Nacque così, e stavolta le origini sono ben definite, il Caponata Fest , svoltosi a Guarrato (TP) il 23 e 24 Agosto 2014, con il duplice obiettivo di far emergere le ricette "di casa" e di far conoscere meglio il prodotto. Esso sostanzialmente è un concorso riservato a casalinghe e alunni degli alberghieri, comunque non professionisti, i quali si sono sfidati durante la notte di Sabato 23, al cospetto di un'attenta giuria, con le loro personalissime elaborazioni. L'arduo compito di giudicare le varie ricette di famiglia è dunque toccato, in ordine alfabetico, a: Maurizio Artusi, enogastronomo, Cettina Barone, impiegata comunale appassionata di enogastronomia, Ignazio Billera, Capitano di lungo corso e Pietro Pecorella, cuoco. Al centro fieristico AV's Works di Bice Ruggirello, fortemente voluto dal marito Vito Augugliaro ed a lui dedicato dopo la prematura scomparsa, si sono sfidate alcune massaie del territorio circostante dimostrando grande perizia nella preparazione, ma soprattutto grande attenzione nella scelta degli ingredienti. Per l'occasione ho scoperto che in quelle zone è normale farsi l'aceto a casa, piuttosto che coltivarsi un pezzo di orto, questi sono stati i bacini più utilizzati per il reperimento delle materie prime, senza ovviamente dimenticarsi delle ottime olive e dell'olio extra vergine nostrale, praticamente diffuso in ogni famiglia. In sostanza, massima qualità a volte prodotta in proprio, in altri casi regalata o acquistata dalla vicina di casa, per una sorta di biologico, anche se non certificato, che ha amplificato odori e sapori. Alle concorrenti però mi sento di fare un appunto, non hanno saputo osare nell'agrodolce, elemento indispensabile della ricetta, perchè nella caponata, l'aceto ed il dolce si devono sentire. I piatti erano tutti abbastanza personalizzati, con alcune concorrenti che avevano aggiunto peperoni piuttosto che mandorle o cotto al forno invece che fritto nell'olio. Una sola ha scelto di innovare, sostituendo la "mela-insana" con la mela. Questa è stata la classifica finale, come si può osservare le prime posizioni hanno i punteggi vicinissimi:
Considerando il successo di concorrenti, ben 8, Ignazio Billera, organizzatore dell'evento, ha anticipato che sicuramente il Caponata Fest avrà un seguito, la prossima volta verrà preparato con più calma e quindi diffuso in modo più capillare, pertanto, mi si passi il neologismo, i "caponatori" e le "caponatrici" si preparino! Prossimi obiettivi potrebbero essere quelli di migliorare la presentazione e di introdurre delle varianti secondo la tradizione delle altre provincie, ma anche di essere più innovativi, perchè sono sicuro che nella seconda edizione costituirà un importante parametro di valutazione, magari in una seconda categoria ad esso dedicato. Non bisogna però dimenticare che il Caponata Fest era inserito nel meraviglioso territorio del trapanese, ricco di bellezze architettoniche, naturalistiche, ma anche enogastronomiche e quindi eccovi una breve carrellata di aziende che conoscevo già, ma che ho avuto il piacere di visitare e approfondire in quei giorni di mia permanenza nella zona.
Nato dall'esperienza homebrewer di Peppe Sveglia, da poche settimane produce tre etichette: La bionda, La rossa e La mora, alle quali presto i aggiungerà anche una weiss. Nessuna aromatizzazione, molto beverine e dal moderato grado alcolico, ma nonostante ciò, dal corpo ben presente e nelle due versioni weiss e rossa di una complessità olfattiva non comune, esse sono l'espressione della filosofia di Peppe e la dimostrazione pratica che non è solo l'impianto, nel suo caso cinese e molto poco automatizzato, che fa la birra, ma anche e soprattutto la mano che lo guida. Con questi presupposti, la dettagliata recensione del Principe di Guarrato non poteva mancare sulle pagine di CucinArtusi.it.
Il modernissimo Molino Agueci tratta solo granelle siciliane, pertanto è in grado di certificare la provenienza regionale delle sue farine. Recentemente ristrutturato dalla Molitecnica Sud, esso è gestito ormai da diverse generazioni sempre dalla stessa famiglia. Oggi il processo di lavorazione del molino è però totalmente automatizzato, che sia l'inizio del tramonto del mugnaio? Tra pochi giorni verrà addirittura installata persino una selezionatrice ottica, la quale garantirà l'assoluta integrità e purezza della materia prima, scartando tutti i "chicchi" non conformi ai parametri stabiliti.
Chi non conosce Pino Maggiore? A Trapani ormai è un'istituzione, insieme al suo locale che vanta ben 50 anni di vita. La cucina di Pino è ovviamente rustica, semplice ma dai sapori forti, così come deve essere in una trattoria, però senza mai trascurare le materie prime. Pino Maggiore è arrivato alla Cantina Siciliana alla tenera età di 10 anni, prima come garzone e poi come titolare, avendola rilevato con il lavoro di tanti anni. Egli ha dentro di se la cultura del couscous che quando può diffonde nel mondo, dagli Stati Uniti al Nord Europa, basta chiamarlo e lui arriverà per cucinarlo a casa vostra: Pino Maggiore è il personal chef del couscous!
Maria Antonietta Abita ed il marito Pietro Ingardia fino a pochi anni fa possedevano un avviato caseificio, ma la svolta arrivò quando investirono denaro e ricerca nel recupero di un antico formaggio chiamato "Cotonese", del quale si erano ormai totalmente perse le tracce. Nel territorio di Paceco, fino all'immediato dopoguerra del secolo scorso, si coltivava cotone, coloro che andavano per i campi a lavorarlo avevano l'abitudine di portare con se un pasto costituito prevalentemente da formaggio prodotto con latte di pecora. Per minimizzare il deterioramento del pecorino esso veniva coperto con del cotone, creando una sorta di camera di isolamento che comunque non impediva del tutto la naturale fermentazione del formaggio. Il risultato che si otteneva era un prodotto ovino leggermente pepato, sapido ed acidulo, oleoso, a piccola occhiatura, stagionato 20-30 giorni, che è stato riprodotto dal Caseificio Ingardia soprattutto grazie ad una segretissima miscela di fermenti lattici, che ricreano i profumi e i sapori di una volta. Per arrivare al risultato finale ci sono voluti diversi studi e tanta memoria storica degli anziani del luogo, ormai quasi tutti scomparsi. Il "Cotonese", è un marchio regolarmente registrato del Caseificio Ingardia che nel giro di pochissimi anni ha più che decuplicato il loro fatturato, rafforzandoli sul mercato nazionale.
Da diversi anni, conosco e apprezzo l'elevata qualità dell'olio extra vergine Baglio Ingardia, ma non mi ero ancora recato in visita presso l'azienda, per vedere e toccare con mano le olive con le quali esso è prodotto. Condotta da 4 generazioni di Ingardia, oggi l'azienda è gestita da mamma Mariella e dai suoi figli, Salvatore e Nicola Di Genova. L'azienda è certificata bio ed imbottiglia olio da 12 anni, la produzione è di soli 120 q. all'anno ed ha in catalogo 4 etichette: un blend di Nocellara, Cerasuola e Biancolilla, una
Conosco Gianni Zichichi, chef e patron de I Vitelloni, da diversi anni, grazie alle mie passate frequentazioni di vecchie edizioni del Cous Cous Fest a San Vito Lo Capo (TP), ma pur stimandolo per la sua passione e il suo lavoro in cucina, non mi era ancora capitato di recensirlo. Finalmente, lo scorso 24 Agosto 2014, trovandomi in quel di Trapani, ho colmato questa mia grave lacuna con un'approfondita recensione, scoprendo in lui uno chef amante del suo lavoro, condizione fondamentale per ottenere ottimi risultati. I piatti di Gianni Zichichi che ho assaggiato presentavano rara pulizia di profumi e sapori, ma non erano particolarmente elaborati o preparati con strane tecniche, se si esclude un magistrale pesce direttamente affumicato dalle mani dello chef, dimostravano però un'insolita precisione tecnica, soprattutto considerando le condizioni di lavoro costituite da una cucina molto piccola e da un numero di coperti elevato, riuscendo così a nobilitare al massimo la cucina trapanese, che egli si fregia di rappresentare con qualche immancabile rivisitazione.
ATTENZIONE: l'attività di recensione è svolta a titolo completamente gratuito, la selezione delle aziende da recensire è effettuata tramite personale scoperta o anche su segnalazione di terzi e si pone l'obiettivo di far risaltare e promuovere coloro che si impegnano più di altri nell'offrire un prodotto alimentare genuino e/o salutare. Per salvaguardare questa indipendenza puoi contribuire seguendomi sui social o tramite Paypal. Valutazione CucinArtusi.it in "artusini":Schede e indirizzi utili:Tags:Tags: |