Digressioni a base di bruciuluni a parte, il mio pranzo è iniziato con una "mitragliata" di antipasti, addirittura non completi per ottemperare alle mie richieste di limitarli, tra questi sono assolutamente da menzionare: la stracciatella, una preparazione a base di cipolla, pomodoro e uova che anticamente rappresentava il piatto proteico dei poveri; poi una rivisitazione della sicilianissima insalata di arance, abbellite per l'occasione da una graziosa e funzionale presentazione, farcite con un filetto di aringa affumicata ed impreziosite da uno stelo di scalogno. Oltre a questi ho assaggiato: la lonza di suino del locale Salumificio Amato, il primo sale, la scamorza, le olive, il caciocavallo stravecchio con il miele, il caciocavallo all'argentiera, i pomodori secchi ripieni di mollica, la ricotta, la frittatina con i broccoli, la frittatina con la ricotta, le lenticche con la cotenna, il pane fritto. Mancavano all'appello altri antipasti del tipo: i mangia e bevi, la zucca in agrodolce, le polpette di pane e probabilmente tanti altri legati alle materie prime reperite nel giorno.
Per il primo piatto erano stati utilizzati i maccheroni di pasta fresca, infatti all'Arte dei Sapori hanno puntato sin da subito su una bella macchina per la pasta, in modo da affrancarsi quasi totalmente dalle forniture di pasta secca industriale. Il condimento era un classico dei giorni di festa di una volta: il cosiddetto ragù di carne in questo caso di maiale, che però di ragù aveva solo appunto la carne poichè com'è tradizione era stata lasciata a pezzi.
Al posto del "bruciuluni", a me è toccato il giorno dello stinco! In questo caso bisogna dimenticare le cotture brevi e darsi alla brasatura ad oltranza. Lo stinco era stato totalmente avvolto in una sottile cotenna, come a simulare la pelle originale dell'animale, e quindi cotto insieme a piselli e carote. Ovviamente, uno solo di questa imponente portata è sufficiente per soddisfare due persone, sia per la pesantezza della pietanza sia perchè, per essere arrivati lì, si è stati già sfiancati dagli antipasti e dal primo.
In compenso, il dessert presentava una dimensione più abbordabile, essendo costituito dal "cucciddatu", un sorta di piccolo buccellato di pasta frolla simile a quello palermitano, con una farcia composta da fichi, mandorle e cioccolato, per fortuna non troppo dolce, con la particolarità che in zona viene aggiunto del lievito all'impasto, al fine di renderlo più areato e quindi più friabile. Ottimo il pane, tutto di rimacino, preparato dalla Forneria L'Arte dei Sapori, un panificio sempre di proprietà della famiglia Restivo. Il menu fisso, che potrei definire giornaliero piuttosto che stagionale, costa solo 23 Euro, comprensivo di acqua minerale e vino sfuso, prezzo applicabile esclusivamente grazie all'adozione della filiera corta ed alla conduzione familiare del ristorante, ed è composto quindi da ben 17 antipasti diversi, un primo, un secondo ed un dolce, per chi volesse provarlo e dopo la mia esperienza consiglio vivamente un paio di giorni di dieta ferrea prima di avventurarsi verso Camporeale!
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