Gli aspetti che caratterizzano la gastronomia siciliana sono molteplici, pertanto non è facile poterli approfondire tutti in un unico locale, L'Osteria Ballarò, recentemente aperta nel cuore di Palermo, ha avuto l'ardire di provarci e, da quello che ho potuto vedere, anche di riuscirci con ottimi risultati. Questo era l'intento di Doriana Ribaudo e di suo padre Gaetano, titolari del locale, entrambi esperti della ristorazione, il papà perchè ha gestito e cucinato per più di 20 anni nel suo ristorante "Da Gaetano" a Finale di Pollina, nei pressi di Cefalù, e Doriana perchè sin dalla più tenera età ha vissuto e collaborato nell'azienda di famiglia.
Ovviamente, nonostante questa larga offerta, la mia natura mi ha portato a recensire solo il ristorante, poichè sapete tutti quanto sia difficile trovare un locale dove poter mangiare bene, mantenendo la sicurezza di una buona selezione delle materie prime e senza spendere cifre astronomiche, che tra l'altro fin troppo spesso non sono neanche garanzia di qualità. Il locale si presenta abbastanza sobrio, ma con una punta di eleganza che a volte contrasta piacevolmente con il rustico, ma affascinante ambiente, ricavato da quelle che, tanti anni fa, erano le scuderie di Palazzo Cattolica, un antica residenza nobiliare situata a pochi metri da Piazza Borsa. La commistione tra moderno ed antico è stata però creata con cura e dovizia di arredamento, creando così un'atmosfera curata e d'impatto. Durante la permanenza in sala, scorrono video ed immagini che evocano luoghi e cibi popolari della città ed a volte è possibile essere allietati da "I Babbaluci", due bravi e folkloristici menestrelli chiamati Massimiliano Formisano, detto Sandokan, e Angelo Salvatore Daddelli.
Gli antipasti Ballarò sono due, uno di pesce e l'altro a base carne, a me è toccato quest'ultimo ed era composto da un'arancina con carne ed una al burro, panellina, cazzilla (crocchè), verdure in pastella, caponata, pezzetto di sfincione e mini panino con milza. Nel piatto, c'era una buona rappresentanza dello street-food palermitano, gustoso, cotto bene e realizzato a regola d'arte. Un particolare riconoscimento però va all'arancina con carne, la cui farcitura era di altissima qualità, ma anche alle fritture, asciutte e mai pesanti; alla caponata, unta al punto giusto, a volte deve esserlo, e dall'agrodolce leggero, probabilmente per compiacere tutti i palati. Infine, come non elogiare lo sfincione, che con la sua scioglievolezza mi ha ricordato i migliori prodotti da forno realizzati con la tecnica della maturazione dell'impasto.
Riecco ancora un piatto di punta dell'Osteria, anch'esso che richiama il nome del locale, stavolta di trattava di un semplice spaghetto ben al dente con vongole, gamberetti e ricci. Bisogna riconoscere che Maurizio Panzica è stato molto attento a non distruggere le ottime materie prime procacciate dai viaggi a Sciacca di Gaetano Ribaudo. I profumi delle tre specie marine, presenti nel piatto, si erano fusi completamente, impossibile distinguerne uno con precisione, formando così una sinfonia salmastra che poteva trasportarmi solo in un posto: in riva al mare! In particolare, i gamberetti erano cotti ma croccanti, un vero miracolo non averli trovati orrendamente rovinati dal calore della padella, accorgimenti che sono facili da attuare a casa propria, mentre invece diventano vero oggetto di mitizzazione in un ristorante, soprattutto con la sala piena come nel mio caso.
Qui Maurizio ha giocato pericoloso, perchè le polpette di sarde sono una preparazione semplice quanto insidiosa. I profumi che emergevano dal piatto erano quelli del pomodoro, che all'assaggio si è rivelato gustoso, di ottima qualità, ma un po' acidulo, io lo avrei corretto con un pizzico di zucchero. Le polpettine erano morbide, gustose e con l'effetto spina abbastanza ridotto. Inoltre ho notato diversi pinoli e un po' di passolina, due must per una ricetta del genere. Prova superata anche in questo caso!
Sui dolci devo però apportare qualche critica, la cassata siciliana, preparata da una pasticceria esterna, era buona ma veramente troppo dolce, effetto purtroppo molto comune in tale prodotto della tradizione. La cassata al forno, realizzata presso l'Osteria invece, in zuccheri era bilanciata molto meglio, l'unica pecca era la frolla un po' troppo dura, ma complessivamente un dessert di rilievo. Infine, nel cestino dell'ottimo pane nero e bianco, ho trovato i prodotti di Nero di Tumminia, la nuova impresa di Filippo Drago dei Molini del Ponte di Castelvetrano e di Walter Pirri delle Fattorie Lombardo di Menfi. Nel menu, figurano i migliori prodotti e produttori siciliani, spesso Slow-food, come il prosciutto crudo e la carne di Suino Nero dei Nebrodi di Agostino Ninone, il carpaccio di Cinisara dei Fratelli Barbaccia, il miele di Ape Nera di Carlo Amodeo e la Lenticchia di Ustica, ma anche lo street-food più profondamente popolare, come la quarume, la lingua aggrassata, il bollito coi giri, la trippa "a livitana", il fegato in agrodolce e le sarde a beccafico. Il supporto di servizio di tali pietanze è il piatto, ma all'Osteria anche questo è curato, come si può vedere dalle foto, essi sono costituiti da coloratissime ceramiche che se da un lato non fanno spiccare il cibo, dall'altro lo completano nei colori e nell'allegria.
In conclusione, l'Osteria Ballarò è riuscita a nobilitare il cibo da strada palermitano, realizzando una "putìa del gusto siciliano" (negozio del gusto), come i Ribaudo l'hanno definita, con l'uso di ingredienti particolarmente selezionati, utilizzando, quando necessario, tecniche di cottura moderne, a vapore, sottovuoto ed a bassa temperatura, a tutto vantaggio del rispetto delle materie prime e quindi di conseguenza del risultato finale. L'Osteria è un punto ristorativo raffinato, ma che non rinuncia alla tradizione dei piatti, indispensabile per il turista, ma anche per il palermitano che vuole riscoprire i profumi ed i sapori della propria città.
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