La tecnica sfrutta delle semplici basi, mentre il procedimento, come tutte le cose buone, è un po' lunghetto, ma si sa, quando si parla di lievitazione, anche se di lievito non ce n'è, per avere un ottimo risultato il tempo deve essere l'ingrediente principale. In sostanza, si tratta di utilizzare le proprietà fermentative del grano spezzato, pertanto integro di germe e sostanze nutritive varie, con il quale si prepara una sorta di lievito madre (naturale) che viene utilizzato in un'unico impasto. In circa due giorni, seguiti poi dalla normale maturazione dell'impasto e conseguente lievitazione, in questo caso meglio eseguirla più estesa del normale, si riescono ad ottenere risultati perfettamente in linea con l'uso di lievito. Ovviamente i migliori risultati si ottengono utilizzando grani antichi siciliani, infatti al master erano presenti le farine dei Molini del Ponte di Filippo Drago a Castelvetrano (TP), rappresentato da Bartolo Crivello dell'azienda di distribuzione La Fenice di Santa Flavia (PA).
Era composto da un tortino di melanzane e ricotta con lonzino affumicato cotto tramite una particolare marinatura di spezie in due giorni di permanenza a 4 gradi, involtini di pancetta fresca cotta al vapore con ripieno di tuma ed infine una caponata classica, anch'essa leggermente affumicata. Il tortino conteneva una ricotta molto delicata, sublime la pancetta degli involtini, anche perchè il suo taglio più spesso ne svelava facilmente la natura porchettata, infine un grande applauso va alla caponata, ben eseguita, senza olio in eccesso, soda, sapientemente affumicata con trucioli di faggio tramite una tecnica molto artigianale.
Le busiate le avrei gradite un po' più cotte e nella salsa avrei aggiunto un pizzico di zucchero in più, ma la star del piatto era indubbiamente la carne di maiale, tritata sapientemente e ricavata da parti magre e scelte dell'animale, proprio come me la faccio a casa pure io. Infine, essendo una preparazione al finocchetto, la mia paura principale era che un eccesso di quell'aromaticità potesse coprire tutto, ma stavolta, per fortuna, non è andata così, anzi!
Il cosciotto di maiale e le carni ad esso assimilabili, costituiscono di solito la caporetto della cucina, esse sono abbastanza magre ed è quindi facile sbagliarne la cottura ottenendo un effetto "boccone bloccato" che non perdona nessuno. Il rimedio pero' c'è e si chiama cottura sottovuoto a bassa temperatura, in questo caso eseguita a 68 gradi, in tal modo il cosciotto è rimasto morbido e succoso, libero di far comunella con un fondo di cottura a base di funghi porcini che per fortuna, anche in questo caso, non erano particolarmente invasivi.
Le dolci origini di Calogero sono state svelate alla fine del pranzo, una volta arrivati al dessert costituito da una mousse al cioccolato con un velo di gelo al ficodindia posto sopra, sul quale era stato adagiato del pistacchio croccantizzato con pochissimo zucchero. Nulla di complicato, ma tanta tecnica e perfezione di esecuzione, dall'uso del "pate à bombe" nella preparazione della mousse, fino all'ottimo bilanciamento degli zuccheri e all'indovinato abbinamento dei sapori, insomma, roba da pasticceria! Calogero quindi proviene da una famiglia di pasticceri, ma ha preferito la cucina alle impastatrici, egli ad oggi vanta una lunga esperienza in Sicilia ed in giro per il mondo, ma anche in ristorante stellati, come quello di Nino Graziano a Mosca, dove si è trovato impegnato durante una stagione. Il suo segreto per riuscire bene in campo lavorativo è facilmente intuibile ed è quello comune ad altri suoi colleghi che danno il massimo in cucina: la passione.
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