La panetteria Passalacqua di Castronovo, principale attività di famiglia, non possedeva molta attrattiva per la fervida fantasia imprenditoriale del giovane Salvatore, tutto proteso verso il mondo zootecnico. Esso, infatti, preferì avviare un fiorente commercio di animali, attività che gli consentì di conoscere bene quei bovini che, nel corso degli anni a venire, l'avrebbero fatto innamorare. La svolta avvenne con l'incontro tra Salvatore e le Pezzate Rosse, eleganti animali dal latte di ottima qualità, di cui ben 4 rimasero nel suo immenso terreno, come se fossero degli animali da compagnia, dei grossi cagnoloni che, invece di abbaiare all'arrivo di un visitatore, ruminavano silenziosamente ornando il paesaggio. Salvatore però, non era attratto solo dalle Pezzate, ma anche dai prodotti caseari delle Brune Alpine che, pascolando felici nella Val di Visdende, producevano un buonissimo latte trasformato poi, dai casari veneti, in un formaggio grasso e molle, come spesso è il formaggio di malga. La Val Visdende, situata in Veneto, sulle Alpi a ridosso del confine austriaco, è un'ameno luogo accessibile solo da una stretta gola e, per questo, risparmiato dal turismo di massa, oggi costituisce un raro esempio di territorio integro e non contaminato. Queste due passioni di Salvatore trovarono il giusto compimento nel momento in cui, le 4 Pezzate Rosse, iniziarono a partorire vitellini, aumentando così la loro produzione di latte con il conseguente problema del suo smaltimento. Il "Fior di Garofalo" Nel 1987, dopo aver frequentato i casari veneti della Val Visdende e con tanto latte a disposizione in Sicilia, Salvatore provò a smaltirne un po' provando a fare del formaggio, esso però aveva delle idee ben precise in merito e non si dedicò alla peparazione della solita tuma, bensì si orientò verso un formaggio di alpeggio, con quelle caratteristiche, per noi meridionali inconsuete, di pasta molle e crosta fiorita grazie alle sue naturali muffe. Sin da subito, questa sua attività, lo portò verso la ricerca dell'integrità e della naturalità del prodotto, bandendo qualsiasi tecnologia o escamotage che potesse allontare il casaro dall'uso delle tecniche tradizionali. Dopo innumerevoli prove, durate più di due anni, Salvatore riuscì ad ottenere un formaggio molto piacevole ed assolutamente inconsueto per il territorio siciliano. Il cammino verso il formaggio definitivo coinvolse diversi amici del Passalaqua, ignari tester, tra i quali uno di essi, proprietario del punto di ristoro sulla SS189 chiamato Motel San Pietro, a pochissimi chilometri da Castronovo, diede una svolta all'hobby iniziando con successo a vendere, ai viandanti, le forme regalategli dall'amico casaro per caso. Il nuovo formaggio prese il nome di "Fior di Garofalo", dal nome della contrada "Garofali" in cui viene prodotto, ma nel 1998 fu inserito tra i formaggi storici siciliani col nome più generico di "Fiore Sicano", diventandone uno di quelli di maggior pregio. Salvatore Passalacqua, grazie al suo hobby, diventato poi impresa, può vantare amici eccellenti nel campo caseario nazionale, iniziando dal più geograficamente vicino Direttore del La " Rubino, durante le sue incessanti ricerche in campo caseario, a fine anni 90 presso l'Istituto Zooprofilattico di Torino, trovò un libriccino del 1936 compilato dal Prof. Alberto Romolotti, ed intitolato "I formaggi siciliani", in cui esso elencava alcuni formaggi prodotti in Sicilia in seguito alla sua attività di ricerca zootecnica svolta sul territorio. All'epoca della scoperta di Rubino, i formaggi nominati dal Romolotti erano tutti già conosciuti tranne uno, con ben tre nomi: Cacio Bufalo per la zona di Palermo e Agrigento, Tuma Perduta per Catania e Cacio Turc per Siracusa. A Rubino, nacque spontanea l'idea di telefonare all'amico Passalaqua, al fine di chiedere lumi su questo formaggio caduto nell'oblio caseario. Romolotti, del Cacio Bufalo, non diceva molto, ma Rubino affidò comunque all'amico l'onere di riprodurlo! Purtroppo, anche Salvatore non aveva conoscenza del presunto formaggio storico ed a nulla approdarono le attività di ricerca dei due appassionati. L'unica strada era quella dell'invenzione, basandosi su una delle poche certezze tramandate dal libriccino del 1936: non salare subito la forma di formaggio, bensì "dimenticarla" per una decina di giorni, approfittando così delle inevitabili fermentazioni che in essa si andranno a creare. Così, nel 1999, il Cacio Bufalo riprende vita in seguito alla prima casualissima caseificazione di prova condotta da Rubino e Passalaqua, infatti, dopo tanti esperimenti di miglioramento eseguiti, Salvatore si arrende all'evidente superiorità del primo test caseario, e lo adotta come metodo di produzione del nuovo formaggio storico. Nasce così un altro dei capisaldi della caseificazione di qualità siciliana: la Tuma Persa.
Purtroppo, a causa della attuale crisi economica, nonostante l'export in Nord Italia, Gran Bretagna e Stati Uniti, l'Azienda Casearia Passalacqua, negli ultimi anni ha dovuto tagliare un bel numero di clienti poichè non paganti, momentaneamente ridimensionata nelle quantità essa è rimasta, come mi ha raccontato Salvatore, in attesa di tempi migliori in cui "poter pigiare di nuovo il piede sull'acceleratore della capacità produttiva". Impossibile, arrivati a questo punto, non approfittare dei due formaggi per approfondirli dal punto di vista organolettico.
Prodotto con: latte vaccino crudo intero, coagulato con caglio di capretto. Al naso, predomina la grassezza del burro, con il retro di un leggero pascolo erbaceo, in bocca, sulla sua sapidità, si innesta un piacevole amarostico che fa da contraltare alla manifesta dolcezza. Anche al palato si ripresenta la pienezza burrosa precedentemente scoperta dall'olfatto. Un formaggio armonico che obbliga la bocca a chiedere il prossimo boccone. Per il massimo apprezzamento, consiglio la perfetta pulitura dalle muffe esterne, certamente non per la loro tossicità, le muffe del formaggio stagionato non sono mai tossiche, bensì per l'eventuale fastidiosa impronta coprente che darebbero al naturale profumo e sapore del formaggio.
Prodotto con: latte vaccino crudo intero, coagulato con caglio di capretto. A dispetto della scheda ufficiale, il primo approccio nasale è forte di sentori di fossa e di erborinato, in bocca tutto viene confermato, esplodendo con un sapore deciso. Quindi, ecco di nuovo quel sapore leggermente muffato, ben piantato su una piccantezza prorompente ma senza manie di protagonismo, poichè mitigata da un'unghia dolce che, pur stando un passo dietro, riesce a far notare la sua presenza. La pasta è insolitamente fine, quasi si scioglie in bocca, con una persistenza di sapori lunghissima. Si stenta a credere che sia un formaggio di latte vaccino e, come raccontatomi da Salvatore, più di un'esperto è stato tratto in inganno, confondendolo facilmente con un pecorino.
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