evoluto, tende sempre di più a cercare qualcosa di diverso e di unico in un'etichetta: un territorio, una storia, un vitigno, oppure la cultura che un particolare prodotto esprime. I produttori, invece, sembra che vadano nel senso contrario, uniformando sempre di più profumi e sapori al servizio di un palato di massa, spesso dedicandosi alla grafica delle etichette più che alla territorialità del contenuto, quasi come se avessero paura di far esprimere diversamente un vitigno, rispetto a quello che il mercato si aspetta. Personalmente, e tanti indicatori mi supportano, penso che il futuro della vitivinicoltura stia nella differenziazione e nel far entrare sempre più storia e territorio dentro la bottiglia, ed in Sicilia siamo fortemente agevolati su questo, grazie ad una biodiversità viticola che non ha pari nel resto del mondo e da differenze pedoclimatiche che hanno condotto gli esperti a definire la regione come un vero continente del vino. Il consumatore di vino Però, come approfittare di questa immensa biodiversità, se prima non la si codifica per rederla fruibile alle aziende del settore? L'intuizione arrivò durate il Vinitaly del 2003, quando un allora anonimo dirigente dell'Assessorato all'Agricoltura della Regione Siciliana, Dario Cartabellotta, poi diventato Direttore Generale dell' IRVV e oggi Assessore, insieme a Giacomo Ansaldi, enologo appassionato di viticoltura, e a due dei massimi esponenti del comparto vinicolo siciliano: Diego Planeta e Giacomo Rallo, pensarono follemente di catalogare il patrimonio viticolo siciliano. Fu in quell'anno che alla UOS 35 di Marsala, Unità Operativa Specializzata nella vite e oggi "Centro per l'Innovazione della Filiera Vitivinicola Ernesto del Giudice", oggi diretto dal Dott.Vito Falco, partì il progetto di "Valorizzazione dei Vitigni Autoctoni Siciliani", raccontato nel video seguente da Ansaldi stesso.
Nel campo di collezione sono presenti più di 3500 vitigni che presentano differenze morfologiche, e che quindi si presume anche DNA differente, ma anche ben 100 varietà cosiddette reliquia o, come amano definirli i tutori del centro, vitigni della memoria, tra l'altro in continua espansione in quanto frutto di una ricerca sempre attiva tra campi e valli della regione siciliana. Tra le varietà comuni, viste ed assaggiate sottoforma di acini direttamente dalla pianta, ricordo: Perricone, Minnella Rossa, Grillo, Alicante, Frappato, Nerello Mascalese, Insolia, Catarratto Lucido, ed Extralucido, Grecanico, Nero d'Avola, Carricante, Minnella Bianca, Albanelo, Damaschino, Moscatello e tantissimi altri. Invece, per i vitigni della memoria, tra uve per vinificazio e/o da tavola, ho visto sfilare nomi mai sentiti, spesso tramandati di padre in figlio, quando non espressione di territori, avvenimenti del passato o più semplicemente derivanti dalla descrizione di una particolare peculiarità del vitigno: Fiori d'Arancio, Moscato Nero, Orisi, Vitrarolo, Giacchè, Alzano, Barbarossa, Bottone di Gallo, Nirocca e tante altre, tutte già accessibili ai vivaisti.
Una giornata del genere non poteva che concludersi con un'adeguata ed esclusiva degustazione, in questo caso svoltasi con 4 vini realizzati coi i vitigni della memoria e tutti piacevoli, senza difetti evidenti e soprattutto già in grado di competere con molte etichette commerciali. Campione A: "Reliquia Bianco" Proveniente dai Monti Nebrodi, dai sentori di banana, fiori bianchi, vaniglia, gelsomino, con poco corpo ma con un'acidità pungente. Campione B: "Vitrarolo" Proveniente dai Monti Nebrodi, dagli iniziali sentori di fragola, poi trasformati leggera mora, al palato si è mostrato morbido e suadente con un ritorno della mora. Campione C: "Lucignola" Proveniente dai Monti Nebrodi, dai sentori floreali e di frutti rossi. Campione D: "Ceracera" Proveniente dai Monti delle Madonie, con sentori di fragola, pepe e fruttini rossi. Il mastodontico lavoro svolto dal personale del centro in 10 anni di ricerca, sta finalmente per vedere i suoi frutti infatti, entro la fine del 2013, i dati raccolti finora saranno oggetto di una pubblicazione che offrirà agli operatori del settore, vivaistico e vitivinicolo, tutti i dettagli riguardanti centinaia di vitigni a volte morfologicamente poco differenziati tra loro, ma con caratteristiche intrinseche talvolta radicalmente diverse. Informazioni di fondamentale importanza per poter scegliere un clone piuttosto che un altro, ottenendo la massima adattabilità in un terreno, ad un microclima piuttosto che ad un'idea di futuro vino. Secondo me, le biodiversità del campo di raccolta sono talmente vaste che, teoricamente, ogni cantina siciliana potrebbe adottare e produrre dei vini assolutamente originali, caratteristici di quell'azienda e con peculiarità organolettiche particolari se non uniche. E' questo il futuro dell'enologia siciliana? Forse si, se vogliamo liberarci di qualsiasi concorrenza e promuovere al massimo il territorio, attuando quelle differenziazioni organolettiche che nessun'altro nel mondo si può permettere. I francesi hanno tolto il nome del vitigno dalle etichette ed hanno inserito il territorio con i suoi "chateau", perchè le loro uve vengono ormai coltivate in tutto il mondo, noi invece possiamo approfittare di ciò che millenni di storia e di evoluzione viticola ci hanno regalato, inseriamo entrambi, i nomi di uve uniche al mondo ed il nome del territorio, in due parole "vino e cultura", oggi lo possiamo e lo dobbiamo fare. Aggiornamento: il 15 Maggio 2015, a Milano durante lo svolgimento dell'edizione italiana di Expo, è stato presentato il volume qui liberamente consultabile "Identità e ricchezza del vigneto Sicilia" nel quale sono state raccolte le ricerche da me raccontate nel presente articolo.
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